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I Commissione - Verbale

Seduta del 11-03-2013 ore 11:00

 

Consiglieri componenti la Commissione: Maurizio Baratello, Pierantonio Belcaro, Sebastiano Bonzio, Renato Boraso, Claudio Borghello, Cesare Campa, Giampietro Capogrosso, Antonio Cavaliere, Bruno Centanini, Pasquale Ignazio ''Franco'' Conte, Ennio Fortuna, Nicola Funari, Valerio Lastrucci, Marta Locatelli, Gian Luigi Placella, Andrea Renesto, Luca Rizzi, Emanuele Rosteghin, Gabriele Scaramuzza, Camilla Seibezzi, Christian Sottana, Raffaele Speranzon, Davide Tagliapietra, Gianluca Trabucco, Simone Venturini, Alessandro Vianello, Stefano Zecchi, Michele Zuin

 

Consiglieri presenti: Pierantonio Belcaro, Sebastiano Bonzio, Renato Boraso, Claudio Borghello, Cesare Campa, Giampietro Capogrosso, Antonio Cavaliere, Bruno Centanini, Pasquale Ignazio ''Franco'' Conte, Marta Locatelli, Gian Luigi Placella, Andrea Renesto, Luca Rizzi, Emanuele Rosteghin, Gabriele Scaramuzza, Camilla Seibezzi, Davide Tagliapietra, Gianluca Trabucco, Simone Venturini, Alessandro Vianello, Gabriele Bazzaro (sostituisce Christian Sottana), Giuseppe Caccia (convocato), Saverio Centenaro (sostituisce Michele Zuin), Sebastiano Costalonga (sostituisce Raffaele Speranzon), Luigi Giordani (convocato), Giacomo Guzzo (convocato), Carlo Pagan (sostituisce Valerio Lastrucci), Alessandro Scarpa (sostituisce Stefano Zecchi), Renzo Scarpa (convocato), Domenico Ticozzi (sostituisce Maurizio Baratello), Marco Zuanich (sostituisce Ennio Fortuna)

 

Altri presenti: Assessore Tiziana Agostini, Coadiutore del Sindaco per la Sanità, Dirigente Stefano Savini, Medico Oncologo Dott. Giovanni Poles, Consigliere comunale Sebastiano Bonzio, Consigliera comunale Camilla Seibezzi, Consigliere comunale Giuseppe Caccia, Consigliere comunale Giacomo Guzzo, Consigliere comunale Renzo Scarpa, Consigliere comunale Andrea Renesto, Consigliere Comunale Pierantonio Belcaro, Consigliere comunale Luigi Giordani, Consulta per la Tutela della Salute

 

Ordine del giorno della seduta

  1. Audizione del Medico Oncologo Dott. Giovanni Poles sul tema dell'istituzione del Registro comunale dei Testamenti Biologici.
  2. Discussione dell'interpellanza nr. d'ordine 1243 (nr. prot. 89) con oggetto "Istituzione Registro Testamento Biologico e sala per commiato laico.", inviata da Giacomo Guzzo
  3. Prosecuzione esame della proposta di deliberazione PD n.493 del 23/07/2012 con oggetto:"ISTITUZIONE DEL REGISTRO COMUNALE DEI TESTAMENTI BIOLOGICI. APPROVAZIONE DEL "REGOLAMENTO COMUNALE PER IL REGISTRO DEI TESTAMENTI BIOLOGICI-DICHIARAZIONI ANTICIPATE DI TRATTAMENTO".

Verbale

Alle ore 11.35, la Presidente della Prima Commissione consiliare, Marta Locatelli, constatata le presenza del numero legale dichiara aperta la seduta. Dopo aver proceduto con l’appello nominale, alle ore 11.39 sospende la seduta per consentire alla Commissione IX, congiunta X di terminare i propri lavori. Alle ore 12.45, constatato il permanere del numero legale, riprende i lavori della Commissione. Accogliendo la richiesta di inversione, introduce l'interpellanza nr. d'ordine 1243 (nr. prot. 89) con oggetto "Istituzione Registro Testamento Biologico e sala per commiato laico.", inviata da Giacomo Guzzo iscritta al secondo punto dell’ordine del giorno e dà la parola all’Assessora Agostini.

ASS. AGOSTINI rileva come da questa interpellanza sia nato l’impulso per la proposta di deliberazione sull’istituzione del Registro dei Testamenti Biologici. Spiega che l’intenzione dell’Amministrazione è quella di accogliere la volontà del Consiglio comunale che si sta attivando in tal senso. Ricorda che non è possibile per l’Ufficio Servizi Demografici lavorare su questo che è un servizio delegato dallo Stato. Per quanto concerne la sala del commiato conviene con quanto richiesto dal Consigliere, sul fatto che il Comune si debba dotare di tale sala, sia per Mestre che per Venezia. Rammenta, però, che il modo concreto spetterà e competerà all’Assessore ai Lavori Pubblici.

Alle ore 12.50 esce il Consigliere A. Scarpa.

GUZZO chiede all’Assessore di proseguire in tal senso.

ASS. AGOSTINI aggiunge che, poi, per la gestione della sala sarà competente l’Assessore Bettin.

Alle ore 12.55 esce il Consigliere Tagliapietra ed entra il Consigliere Belcaro.

PRES. LOCATELLI ritiene si possa chiedere agli Assessori ai Lavori Pubblici ed al Patrimonio, un approfondimento in Commissione.

VENTURINI gli risulta che rispetto al primo punto dell’interpellanza la Giunta non si sia ancora espressa.

CONTE è stato fatto un lavoro di presa di coscienza cominciando un cammino che serve per capire e pertanto, finché non si è capito non è opportuno cominciare nulla.

Alle ore 13.05 escono i Consiglieri Belcaro Centenaro e Zuanich.

ASS. AGOSTINI sono state consegnate centinaia di firme di cittadini a questa Amministrazioni e i Consiglieri hanno espresso la volontà di proseguire in questa direzione. In base al mutamento delle esigenze le realtà locali si sono fatte portavoce presso il Governo centrale. Di fronte ad un rischio di schieramenti ideologici il lavoro della Commissione è trasversale, mettendo al centro la dignità della persona.

Alle ore 13.12 esce il Consigliere Vianello.

PRES. LOCATELLI esaurito il primo punto, procede col secondo punto iscritto all’ordine del giorno e dà la parola al Dott. Poles.

Alle ore 13.20 escono i Consiglieri Borghello, Rosteghin, Costalonga e Seibezzi.
Alle ore 13.50 escono i Consiglieri Renesto, Capogrosso, Boraso e Venturini.

DOTT. POLES (Medico Oncologo) l’argomento presuppone una certa attenzione e le audizioniche si sono succedute sino sintomo di serietà della Commissione. spiega che da circa vent’anni si occupa di queste problematiche avendo assistito circa 6000 pazienti ed i loro familiari. Si è sempre occupato di bioetica e fa parte dei comitati etici per la pratica chimica. È presente oggi in qualità di medico oncologo. Procede con la proiezione e l’illustrazione di slide. È giusto che ci sia uno spaccato della realtà ed avere tutti gli strumenti in mano per poi poter decidere. Cita il codice deontologico.Spiega che c’è una equidistanza dall’accanimento terapeutico e l’eutanasia e si deve lavorare su questi fronti col personale medico e infermieristico. Procede con la lettura di alcune parti di una relazione, riportata integralmente di seguito:
RELAZIONE In un’epoca in cui si proclamano solennemente i diritti inviolabili della persona e si afferma pubblicamente il valore della vita, molti diritti e lo stesso diritto alla vita, vengono praticamente negati, in particolare nei momenti più emblematici dell’esistenza, qual'è, ad esempio, il morire. Le radici di una tale contraddizione si riscontrano in alcune valutazioni di ordine morale e culturale,
iniziando dalla mentalità che riconosce come titolare di diritti solo chi non dipende dagli altri e si
presenta in condizioni di piena autonomia. La vita viene giudicata degna di essere vissuta secondo
qualità o criteri di vivibilità che rispondono a concezioni individualistiche (...la vita è mia e ne
faccio ciò che voglio…) oppure derivate dal contesto socio-culturale del momento. L’attuale
affermarsi di una visione antropologica utilitarista rischia di introdurre gravi discriminazioni poiché
non riconosce a tutti il medesimo “status” di persona.
E’ evidente che l’esclusione di alcuni esseri umani dalla “classe” persone implica gravi
conseguenze sul piano pratico come, ad esempio, la liceità morale e giuridica dell’intervento
soppressivo della vita fisica . Eutanasia , infanticidio e quant’altro, trovano il loro fondamento,
quantomeno in linea di principio, in tale visione.
A tal proposito, è a molti noto quanto afferma Peter Singer, una delle voci più note nell’ambito
della bioetica contemporanea e che ha ispirato eticamente molte proposte di legge approvate o
discusse negli Stati Uniti, in Europa ed in Australia. Scrive Singer a proposito di eutanasia :
“…nessun infante –malformato o meno- ha una pretesa alla vita altrettanto forte di quella di esseri
capaci di considerarsi entità distinte nel tempo…” e ancora afferma : “…il fatto che un essere sia un
essere umano, nel senso di membro della specie homo sapiens, non è rilevante all’immoralità
dell’ucciderlo……” e perciò : “uccidere un neonato con malformazioni non è moralmente
equivalente a uccidere una persona. E molto spesso non è per niente sbagliato” . E’ evidente che alla
vita non viene più riconosciuto un valore intrinseco ma, il valore della vita dipende solo e soltanto
dalle qualità che può o potrà avere (esperienze piacevoli, integrità fisica, capacità di relazione con
gli altri ecc..)
Vi è poi la tendenza a legittimare tali scelte tramite la pratica medica: il contesto scientifico e
l’autorità morale del servizio sanitario vengono ritenuti sufficienti a rendere eutansia e altri
interventi accettabili ed indiscutibili nel loro valore positivo. E così, dal punto di vista dell’utenza
pubblica, la possibilità di accedere a tali pratiche nel contesto del Servizio Sanitario, esonera spesso
da ulteriori domande e deresponsabilizza (mentalità che va diffondendosi sempre di più).
Le stesse scelte tendono, ancor più, ad essere legittimate tramite l’accoglienza delle medesime nella
normativa giuridica dello stato. Tutto ciò conferisce a queste pratiche l’accredito di una legge. In
altre parole ciò che è legale diventa facilmente criterio per ciò che è morale.
LA MEDICINA DI FRONTE ALL’EUTANASIA
Il dibattito sull’eutanasia sta facendosi strada anche in Italia come già in altri paesi europei. Gli
interrogativi che tale problema pone sono molteplici, investono tutta la comunità umana ma
mettono anche in discussione l’essenza stessa e le finalità delle medicina e dell’essere medico.
Uno degli argomenti fondamentali e ai quali si fa riferimento per affermare la necessità di
percorrere la strada dell’eutanasia è la sofferenza riferita alla fase terminale di malattie inguaribili.
E’ questo l’aspetto che più colpisce e spaventa la maggior parte delle persone. Spesso si ritiene
che la richiesta di eutanasia da parte dei pazienti sia strettamente legata alla gravità della loro
malattia e allo stato di sofferenza nel quale versano. In realtà, come riportato in alcuni studi, la
maggioranza dei pazienti gravemente sofferenti, sfigurati o disabili, non cerca il suicidio o altre
forme di interruzione della propria vita . Del resto, è anche documentato che sentimenti di
disperazione e depressione stanno alla base del maggior rischio di suicidio in coloro che soffrono.
E’ altresì vero che la medicina si è sempre confrontata con il dolore o, in senso più ampio con la
sofferenza. Fin dalle origini, la cura ed il trattamento del dolore sono due degli obiettivi primari ed
irrinunciabili della medicina. Lo stesso Codice Deontologico (CDM) ribadisce questi concetti
ponendoli come punti fondanti ed irrinunciabili dell’agire medico : “In caso di malattie a prognosi
sicuramente infausta o pervenute alla fase terminale, il medico deve improntare la sua opera ad atti
e comportamenti idonei a risparmiare inutili sofferenze psichico-fisiche e fornendo al malato i
trattamenti appropriati a tutela, per quanto possibile, della qualità della vita e della dignità della
persona...” e ancora : “......il medico deve proseguire nella terapia di sostegno vitale finchè
ritenuta ragionevolmente utile evitando ogni forma di accanimento terapeutico.” (art. 39 CDM).
Quando la guarigione non è più possibile è ancora possibile curare. Curare nel senso di prendersi
cura dell’altro nella sua globalità di persona, a maggior ragione quando non vi sia più nulla da fare.
Gli obiettivi e la pratica della medicina testimoniano quindi valori non barattabili che sono
l’essenza stessa dell’arte medica.
La medicina di oggi ha inoltre gli strumenti per poter intervenire con efficacia lì dove la sofferenza
si fa sentire . La realtà delle cure palliative ne è un esempio. La cura dei sintomi, l’attenzione
particolare agli aspetti psicologi, il coinvolgimento della famiglia e tanti altri aspetti, rientrano in
una visione più ampia, che ha come centro il malato nella sua globalità di persona ammalata. Non
per nulla si parla di dolore globale, un dolore che non è solo fisico ma che investe tutti gli aspetti
del vissuto di una persona (psicologici, affettivi, spirituali…). E’ anche a tali aspetti che la
medicina deve rivolgere la propria attenzione per non fallire le finalità che fin dalle origini
persegue.
Un altro rilevante aspetto del dibattito che si sta svolgendo sul fine vita e sulla questione
dell'eutanasia, riguarda l’eccezionalità degli interventi che una eventuale legalizzazione della stessa
introdurrebbe, facendo riferimento solo a casi particolari e di malattie gravi ed inguaribili.
Si pensi però a come negli ultimi anni sia cambiato di significato il concetto di salute. Infatti, non si
rapporta unicamente a fattori organici o fisici, ma coinvolge le dimensioni psichiche e spirituali
della persona, estendendosi dall’ambiente fisico, a quello affettivo, sociale e morale in cui la
persona vive ed opera.
Un rapporto profondo è avvertito tra salute, qualità della vita e benessere dell'uomo. Così pure è
cambiato il concetto di malattia. Malattia intesa non più come patologia rilevabile attraverso dati
di laboratorio e/o strumentali, ma anche come malessere esistenziale al quale concorrono più fattori,
non solamente o necessariamente organici. Il concetto di salute come “stato di completo benessere
(well-being) fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattia o infermità
(desease or infirmity)” è quanto sostiene in sintesi l’ Organizzazione Mondiale della Sanità
(O.M.S.).
Il binomio salute-malattia si configura quindi in modo completamente diverso dal passato. Ciò non
è esente però da rischi. Infatti, se è vero che i valori culturalmente dominanti definiscono le
aspettative sociali quanto alla qualità della vita fisica, è evidente che direttive formali a
giustificazione di interventi di eutanasia introdotti solo in casi particolari di malattie gravi ed
inguaribili, potranno essere estese anche a quelle situazioni di “non salute” che possono
compromettere in qualche modo l’idea di vita o qualità di vita che ciascuno di noi ha.
Pretendere che la medicina si debba conformare a tali scelte rischierebbe di ridurla a strumento
sempre più sofisticato, atto a soddisfare qualsiasi tipo di richiesta.
Lo stesso rapporto tra medico e paziente rischierebbe di essere svuotato del suo significato più
profondo, alterando il delicato equilibrio basato sulla fiducia reciproca.
Un rischio ulteriore potrebbe essere rappresentato dall’attenuarsi , in date circostanze, dello sforzo
teso a ridurre la sofferenza, soprattutto per quanto riguarda malati con patologie croniche gravi ed
invalidanti per i quali il ricorso ad interventi di eutanasia potrebbe configurarsi come la soluzione
più conveniente sul piano economico. Del resto, mai come oggi è evidente l’affermarsi delle ragioni
di ordine economico nei piani di gestione della sanità pubblica. In tal senso, è ragionevolmente
condivisibile quanto nel 1995 affermava Stefano Rodotà : “ il diritto alla cura tende a perdere la sua
assolutezza e a divenire funzione di una serie di variabili, tra cui la onerosità della cura, l’età ,
l’aspettativa di vita. Si fa soprattutto forte la tendenza ad escludere gli anziani dall’accesso a talune
terapie e forme di assistenza”, e concludeva domandandosi : “ decrescendo la produttività, dunque,
il corpo perde progressivamente anche i diritti ?”.
Un’ultima riflessione è opportuno riferirla al principio di autonomia.
In base a questo principio ogni individuo ha il diritto di decidere autonomamente se accettare o
rifiutare quanto si intende fare su di lui, sia da un punto di vista diagnostico che terapeutico. In
forza dello stesso principio, molti ritengono che ognuno di noi possa disporre della propria vita, in
modo particolare quando non la si ritenga più degna di essere vissuta. Il punto centrale è se si
debba riconoscere a tale principio un valore assoluto o se, diversamente, vi siano dei limiti
all’applicabilità dello stesso, specialmente quando in gioco è la vita di una persona.
Una serie di domande allora sorge spontanea : “come può tutto ciò conciliarsi con il diritto di
ciascun individuo di decidere autonomamente se accettare o rifiutare quanto si intende fare su di lui,
sia da un punto di vista diagnostico che terapeutico e di poter liberamente scegliere ?
L'affermazione del mio diritto di autodeterminazione è la traduzione di un diritto di libertà in senso
assoluto? Posso io, in forza dello stesso principio, disporre della mia vita, in modo particolare
quando non la ritengo più degna di essere vissuta?”
La gestione della nostra vita passa necessariamente attraverso un atto di “libertà responsabile”. Non
può esistere libertà senza responsabilità. Nell'ambito della salute e della cura, ciò si traduce nel
riconoscere la centralità della persona che soffre attraverso la realizzazione degli obiettivi che la
medicina ha storicamente sempre perseguito : “guarire, riabilitare una funzione lesa ma, soprattutto,
lenire il dolore e prendersi cura”.
Va da sé che, a partire da questo presupposto, non vi è spazio né per accanimento terapeutico né per
eutanasia. Il primo inteso come non accettazione della finitezza umana e, nel contempo, come
inutile prolungamento della sofferenza, il secondo, visto come incapacità di una risposta attenta e
concreta ai reali bisogni di chi soffre. Le cure palliative sono l'esempio di una medicina centrata
sulla persona senza mai trascendere il limite etico della cura.
In talune situazioni, come ricorda M. Reichlin, “...è giusto chiedersi se la richiesta di morire non sia
in realtà il bisogno di un diverso tipo di assistenza che chiede il conforto della condivisione.”
Lo stesso dibattito attualmente in corso sulle “Direttive Anticipate” non può trascurare tali
considerazioni. A maggior ragione se poi si pensa che esiste una notevole differenza tra “malattia
pensata” e “ malattia vissuta”.
Sul piano pratico, inoltre, demandare ogni responsabilità e decisione al singolo paziente presuppone
che egli sia consapevole, equilibrato e correttamente informato, che sappia valutare costi e benefici
connessi alle varie alternative e che decida senza incertezze o ripensamenti. Ciò fa capire come sia
estremamente complesso far riferimento, se non in termini generici, a decisioni e volontà espresse
in condizioni di salute circa un eventuale stato di malattia terminale o grave disabilità (Testamenti
di vita, direttive anticipate…) . Infatti, esperienza insegna che esiste una notevole differenza tra
“malattia pensata” e “malattia vissuta”.
UNA RIFLESSIONE ETICA SU ALCUNI ASPETTI PRATICI
Anche nella situazione di maggior sconforto, di malattia avanzata, il malato è una persona e, anche
se in questa fase non è più possibile guarire, è ancora possibile curare (dal "to cure" al "to care").
La decisione di iniziare o mantenere determinati trattamenti terapeutici, il rifiuto della terapia da
parte del paziente, i principi etici strettamente collegati con un’efficace terapia del dolore, il dovere
e le modalità di come comunicare al paziente una diagnosi infausta , il ruolo del medico nell’ambito
di una corretta comunicazione tra sanitario e paziente, questi ed altri sono i problemi quotidiani che
inducono il medico ad una costante e sempre più approfondita riflessione di carattere etico ancor
prima che clinico.
La gestione del dolore tra eutanasia ed accanimento terapeutico
Una delle questioni più discusse in riferimento ai malati terminali e che , ancora oggi, è motivo di
perplessità per molti operatori sanitari, riguarda l’uso degli oppioidi (morfina e alt.) utilizzati per
lenire il dolore . La diffidenza relativa all’uso di tali terapie, la prudenza talora eccessiva e al
limite dell’astensionismo terapeutico, derivanti dal timore, di indurre anticipatamente la morte del
paziente, trovano motivazione in convinzioni mediche e conoscenze ormai ampiamente superate.
Oggi, grazie all’esperienza accumulata nei vari “hospices” e nelle unità di cure palliative, gli
oppioidi possono essere impiegati con estrema sicurezza e senza particolari problemi quando si
tratti di agire in modo continuo sul dolore cronico che si manifesta in gran parte dei pazienti
terminali o in fase avanzata di malattia. Se il medico ha una buona conoscenza dei mezzi, in questo
caso farmacologici, con i quali opera, molti dei problemi che apparentemente sembrano di difficile
soluzione anche sul piano etico, possono trovare una più semplice risposta sul piano pratico senza
venir meno agli obblighi etici fondamentali. Non sempre, però, le scelte che in questo campo ci si
trova a dover affrontare sono facilmente motivabili sul piano etico.
In tal senso, è condivisibile quanto riportato dall’ O.M.S. nel documento “Dolore da cancro e cure
palliative” (1990) e dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nel documento “Eutanasia” del
1980 nei quali, ferme restando le considerazioni sopra esposte, si afferma la liceità di attuare un
trattamento antidolorifico anche correndo il fondato rischio di anticipare la fine del paziente. E’
evidente che in questo caso la morte non è ricercata o voluta in alcun modo. Si intende
semplicemente lenire il dolore in maniera efficace , usando i mezzi farmacologici di cui la
medicina dispone. In altre parole, se in date circostanze, dall’uso adeguato di analgesici risultasse
la morte del paziente, sarebbe comunque garantita l’eticità dell’intervento e quindi non si può
parlare di eutanasia. Cosa diversa ,invece, sarebbe abbreviare intenzionalmente la vita del
paziente sovradosando il farmaco .
Proporzionalità dei mezzi terapeutici
Un altro aspetto che ci si trova spesso a dover affrontare riguarda la proporzionalità dei mezzi
terapeutici . Specialmente nelle fasi terminali della vita, si avverte la necessità di dover difendere
la dignità della persona da un tecnicismo spesso immotivato ed eccessivo. Del resto il problema a
volte si pone in senso opposto , rischiando di ricadere nel quasi totale astensionismo terapeutico.
Benchè ci sia, in linea teorica, unanimità di vedute sulla necessità di non sottoporre un ammalato in
fase terminale a trattamenti sproporzionati , non sempre è chiaro come ci si deve comportare nei
confronti di trattamenti “vitali” come la nutrizione e l’idratazione artificiali. Di analoga difficoltà
può spesso risultare la valutazione se emotrasfondere o meno un ammalato con una prospettiva di
vita molto limitata nel tempo.
Per tentare una risposta a tali interrogativi, si deve cercare di capire quali sono i criteri che possono
permettere al medico di inquadrare un trattamento come accanimento terapeutico o, all’opposto,
come astensionismo e, al limite, come eutanasia.
L’accanimento terapeutico viene definito dal Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) come “un
trattamento di documentata inefficacia in relazione all’obbiettivo , a cui si aggiunga la presenza di
un rischio elevato e/o una particolare gravosità per il paziente con un’ulteriore sofferenza, in cui
l’eccezionalità dei mezzi adoperati risulta chiaramente sproporzionata agli obiettivi della condizione
specifica” .
I criteri di riferimento per valutare la proporzionalità o meno di un intervento sono quindi
rappresentati dalla inefficacia, dalla gravosità e dalla eccezionalità del trattamento stesso.
L’inefficacia si identifica nella inutilità del trattamento; la gravosità, nel rischio di determinare
nuove ulteriori sofferenze, fisiche e morali; infine , il terzo criterio riguarda l’eccezionalità dei
mezzi terapeutici che non debbono essere sproporzionati agli obiettivi che il medico cerca di
raggiungere. A volte non è chiaro se anche per quanto riguarda alimentazione e idratazione
artificiali si possa parlare di trattamenti sproporzionati (in questo caso si potrebbe talora
giustificarne la sospensione) . Chiara e condivisibile è la posizione della Congregazione per la
Dottrina della Fede che nel documento “EUTANASIA” del 1980 afferma e ribadisce la liceità
morale di interrompere, nell'imminenza di una morte inevitabile, tutti quei trattamenti che
procurerebbero un prolungamento precario e penoso della vita ma che, al tempo stesso, non ritiene
sia lecito interrompere le cure “normali” dovute all'ammalato in simili casi.
Va ribadito però che, in certi casi, non sempre idratazione e nutrizione artificiali possono
configurarsi come trattamenti “normali” . Si pensi ad esempio alla difficoltà e ai disagi talora
presenti nel dover reperire una via venosa , al disagio causato dalla somministrazione ripetuta di
flebo negli ultimi giorni di vita ma soprattutto al fatto che non sempre il comfort dell'ammalato e
l'aspettativa di vita vengono compromessi dalla riduzione di nutrizione e liquidi.
Resta comunque fondamentale ed eticamente rilevante che anche nei casi in cui si decida la
sospensione di tali trattamenti , il medico deve porre attenzione ed intervenire su quei sintomi che
sono fonte di notevole disagio per il paziente.
Analogamente ed in linea di principio, quanto sopra esposto può orientare la decisione anche
quando si ponga il quesito se emotrasfondere o meno un paziente in fase terminale. Andranno
valutate circostanze, grado di difficoltà e risultato atteso, tenuto conto delle condizioni
dell’ammalato . L’esperienza del medico in tal senso risulta essere pertanto estremamente
importante. Oltre all'esperienza, emergono altri due aspetti importanti dell'agire medico che
difficilmente possono essere inquadrati nell'ambito di una norma : basi etiche solide, equidistanti da
eutanasia ed accanimento terapeutico ed il fatto che ogni intervento deve essere valutato nella date
circostanze, indipendentemente dal tipo di intervento.
Il rifiuto della terapia
Un problema che talora può insorgere è quello rappresentato dal rifiuto, da parte del paziente, di
trattamenti terapeutici ed interventi che il medico propone. Va notato come spesso tale rifiuto è il
frutto di una carenza comunicativa tra medici, infermieri ed ammalato.
E’ necessario, in questi frangenti, recuperare con l’ammalato un rapporto relazionale all’interno del
quale si deve compiere uno sforzo per ascoltare, per comprendere tutto ciò che egli prova o teme,
per informarlo sui rischi che corre e sugli effetti delle cure proposte senza mai far venir meno la
speranza. Tale speranza trova linfa vitale e si alimenta dell’umanità e dell’attenzione che nascono
dalla relazione tra chi soffre e chi gli sta vicino (familiari, personale sanitario, volontari ecc.). Talora
però, anche se si stabilisce un buon rapporto comunicativo con chi soffre, quest’ultimo esprime un
fermo rifiuto alle cure proposte. In tali circostanze, colui che pratica la cura, più spesso il medico, si
trova a dover decidere tra il rispetto della volontà del paziente e la necessità di intervenire sul
paziente stesso. Ovvero , sul piano etico, ci si trova di fronte a due principi apparentemente in
conflitto : il principio di beneficenza, insito nell’atto medico, ed il principio di autonomia. Al di là
di precise norme giuridiche e deontologiche, talora risulta estremamente difficile la conciliazione
dei due principi. Sul piano pratico, è importante che il malato possa manifestare la propria volontà
di fronte alle cure che gli vengono proposte. Quando è possibile, è ancora auspicabile che il
paziente possa esprimere preventivamente ed in linea generale il diritto al rispetto della propria
dignità, il diritto al rifiuto di ogni accanimento terapeutico o di interventi medici sproporzionati. L’
art. 32 del Codice di Deontologia Medica riporta : “...non è consentito alcun trattamento medico
contro la volontà della persona…”. Ma è possibile una risposta diversa pur nel rispetto di ciò che
esprime la persona ammalata? L’esperienza di chi lavora giornalmente a contatto con gli ammalati
terminali, ci insegna che si può curare anche a fronte dei timori, delle perplessità, della rabbia, del
rifiuto e degli interrogativi che l’ammalato pone, attraverso una paziente “mediazione terapeutica”.
La comunicazione
In fine, un breve cenno a parte meritano le modalità della comunicazione che, in quest’ambito,
assumono un valore di fondamentale importanza. Chi si trova nella fase terminale della propria vita
causa di una grave malattia, è una persona che va rassicurata ed accompagnata nel suo cammino di
fine vita anche sul piano umano. L' ammalato si pone pertanto al centro della comunicazione che
lo vede coinvolto con la famiglia, gli amici, l’équipe di cura.
La comunicazione comporta l’accompagnamento del malato nel comprendere gradualmente le sue
condizioni , un cammino che deve essere sempre caratterizzato dalla speranza . Solo all’interno di
una “comunicazione umana” può nascere quella solidarietà e quella condivisione che aiutano a
superare il senso di solitudine che caratterizza la malattia in fase terminale.
L’atto comunicativo non può pertanto basarsi solo su di una fredda informazione. In quest’ambito
si inseriscono anche le notizie che spesso il paziente chiede circa la sua malattia. E’ eloquente a tal
proposito quanto riportato nell’art. 30 del Codice di Deontologia Medica :”...Le informazioni
riguardanti prognosi gravi o infauste o tali da poter procurare preoccupazioni e sofferenze
particolari al paziente, devono essere fornite con circospezione, usando terminologie non
traumatizzanti senza escludere elementi di speranza”.
COMITATI ETICI per LA PRATICA CLINICA e DECISIONI di FINE VITA
Da tempo, nella nostra regione, si è consolidato ed è stato riconosciuto il ruolo dei comitati etici per
la pratica clinica, operanti nell'ambito delle nostre ASL.
La composizione multidisciplinare e le competenze espresse, fanno dei comitati etici per la pratica
clinica un organismo dinamico e attivo, in grado di orientare le decisioni nei contesti clinico
assistenziali di particolare complessità (fine vita, inizio vita ecc.) . La consolidata esperienza, ha
dimostrato come tale organismo rappresenti una reale opportunità per cittadini e operatori della
salute. Le stesse decisioni di fine vita, in contesti di complessità particolare, possono avere, nei
comitati etici, un luogo di discussione e risposta adeguato e super-partes, anche all'atto della
discussione di singoli casi, come peraltro già accade.
QUALE RISPOSTA
Il rischio di risposte estreme (eutanasia) può essere scongiurato attraverso un'assunzione forte di
responsabilità da parte di tutti. E' pertanto necessario che le persone (medici, infermieri, familiari
ecc.) coinvolte nell'accompagnamento di un malato terminale, spostino lo sforzo terapeutico dal
guarire al prendersi cura, orientando gli interventi verso il trattamento dei sintomi e l'alleviamento
del dolore.
Come ricorda Corrado Viafora, l'ammalato chiede anche una risposta concreta che può e deve
essere attuata secondo le seguenti istanze :
a)Trattare il dolore – un'adeguata terapia del dolore assume grande rilevanza etica. Il dolore
costringe all'isolamento, distruggendo la possibilità di vivere come persona : cioè la relazione.
Trattare il dolore costituisce un obbligo fondamentale e prioritario. Questo giustifica che si corrano
dei rischi proporzionati alla sofferenza e alla situazione del malato.
b)Comprendere i bisogni del malato terminale -(1) Si concretizza nella possibilità di esprimere i
propri reali sentimenti (rifiuto, collera, patteggiamento, depressione, accettazione). (2) Compito di
chi assiste è di lasciare che il malato venga alla sua verità (cfr. orientamenti espressi dal C.N.B e
Cod. Deontologia Medica). (3) L'aiuto più produttivo al malato terminale lo dà chi lo assiste avendo
maturato un atteggiamento di serenità nei confronti della propria morte. (4) Quando le parole
diventano povere permane una sorta di coscienza affettiva. E' il tempo della tenerezza affidata allo
sguardo e al contatto fisico.
c)Capire la dipendenza inserendola in una dimensione di accoglienza e di responsabilità che ha
come centro l'altro (malato terminale, feto, paziente in coma...).
d)Proporzionare le cure – in una prospettiva personalistica, criterio di riferimento per misurare la
proporzionalità delle cure terminali è il principio di totalità. Questo principio giustifica una
interpretazione “allargata” del concetto di accanimento terapeutico, inteso come l'ostinata rincorsa
verso risultati parziali a scapito del bene globale del malato.
e)Decodificare la richiesta di essere aiutato a morire – Esperienza insegna che le rare richieste di
accelerare la morte non riflettono abitualmente un persistente desiderio di eutanasia, ma hanno
invece altri importanti significati che esigono una adeguata interpretazione. Andrebbero esplorate
pertanto le seguenti aree : * Controllo dei sintomi , *le difficoltà relazionali del paziente con la
famiglia e con l'équipe curante, * i turbamenti di natura psichica, * disturbi di natura organica e i
disturbi della personalità, * la visione che il paziente ha della vita e della sofferenza.
Ma ancor più, chi è il “soggetto” che richiede di essere aiutato a morire ? .....E' il paziente o
l'ambiente che lo circonda? Qual'è l'oggetto della richiesta? Forse il paziente non chiede di essere
aiutato a morire ma piuttosto di essere assistito e seguito fino alla fine senza sentirsi di peso ?
Si tratta di domande fondamentali per determinare la portata che assumerebbe un'eventuale
legalizzazione dell'eutanasia : espressione del “diritto al controllo di sè” e del diritto
all'autodeterminazione della propria morte (è questo un diritto assoluto?) o espressione del
“sacrifico di sè” cui un certo numero di malati cronici e terminali sarebbe indotto dalla percezione
colpevolizzante di essere inutili e di sentirsi di peso?
f)Ripensare ai fini e agli obiettivi fondanti la medicina .
CONCLUSIONI
Curare l’ammalato che si trova in questa fase vuol dire accompagnarlo negli ultimi momenti della
sua vita, nel rispetto dei valori fondamentali della persona umana e con l’attenzione di chi sa
cogliere i bisogni umani ed assistenziali di chi soffre. In tale fase, è indispensabile che la
riflessione etica sia sostenuta da una adeguata e aggiornata professionalità degli operatori. Infine, si
può pienamente concordare con chi afferma che “ è l’etica che permette di stabilire e di mantenere
il consenso fondativo. Senza questo consenso, la pratica della cura si inaridisce a svantaggio dei
malati e dei loro familiari, rendendo più dura la prova del morire”. Serve una rete sociosanitaria integrata e dinamica per accessibilità e qualità dei servizi. Serve formare ed integrare le c.d. “badanti”. Si devono definire i criteri fondamentali e percorsi chiari e praticabili.

Alle ore 14.00 rientra il Consigliere Renesto.
Alle ore 14.15 esconno i Consiglieri Ticozzi e Giordani.
Alle ore 14.20 rientra il Consigliere Costalonga.

PRES. LOCATELLI propone una successiva Commissione per consentire il dibattito e le domande successive all’audizione del Dottor Poles. La Commissione acconsente e alle ore 14.25, esaurito l’ordine del giorno, dichiara chiusa la seduta.

 

 

 

 

Atti collegati
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A cura della segreteria della Commissione
Pubblicato il 12-06-2013 ore 14:05
Ultima modifica 12-06-2013 ore 14:05
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