Forse è stata una cometa, ad eliminare i Dinosauri o, forse, è stata la natura stessa con i suoi meccanismi di autoregolazione fatti apposta per eliminare gli esseri incompatibili con la vita complessiva del pianeta. Se non fosse andata così, ci avrebbe dovuto pensare l'uomo, a eliminarli, dato che essi sarebbero risultati incompatibili con qualsiasi forma di vita umana. Soprattutto dal punto di vista del consumo egoistico di risorse. Immaginare Palais Lumiere è un po’ come immaginare un gigantesco Dinosauro a Marghera, alto 250 metri e largo 180. Sarebbe compatibile con i luoghi? E questi, sarebbero compatibili con le risorse necessarie alla sua vita? Certo, quella creatura piazzata al bordo di quella Valle dei Templi, costituita dalla Laguna e dalla Città più bella al mondo, attirerebbe interessati da tutto il mondo che poi, dato che ci sono, andrebbero a dare un'occhiata a Piazza S.Marco o a Rialto. Ma è quello di cui abbiamo bisogno? É quello che il nostro ambiente e la vita stessa di questa Città possono sopportare? Sarà questa la carta che consentirà di invertire l'esodo degli abitanti dalla Città di Venezia e ne ristabilirà la qualità di vita? E in che modo, per effetto di quali meccanismi? Insomma, quali sono i motivi per cui Venezia dovrebbe mettersi un Dinosauro in casa? Od è, forse, solo per risolvere il problema dell'immondizia che abbiamo lasciato sparsa a Marghera e che a furia di menefreghismo e protocolli è rimasta senza nome e senza destino? Insomma, Palais Lumiere come una nuova specie di “Brontosaurus Immondensis” capace di divorare tutto ciò che ricorda un periodo di allegro ed irresponsabile uso del territorio, indispensabile a far tornare quei luoghi, non certo come erano originariamente, cioè degni del Pianeta Pandora del film Avatar, ma almeno guardabili? Oltre a ciò, al di là degli aspetti ambientali tutti ancora da valutare, dal punto di vista economico-produttivo è evidente che quel Dinosauro gigante, peggiorerebbe lo squilibrio di un territorio già eccessivamente spostato su attività economiche prive di vera produttività. Questo problema, che è il vero problema del nostro territorio, si accompagna alla perdita costante di quelle conoscenze indispensabili alle più svariate, specialistiche, uniche produzioni di cui rappresentavamo un’eccellenza mondiale, dal vetro alla chimica, dall’artigianato alla pesca, dalla cantieristica all’orticoltura. Un vero, inestimabile patrimonio che stiamo miseramente dilapidando in virtù di un futuro di cui non siamo stati ancora capaci di definire i connotati e che, quindi, si presta alla mercé dei soldi che qualche “benefattore” si dice pronto a versare per “noi”. Ma è ora di smetterla di parlare solo ed esclusivamente di gigantismo e di terziario, perché si fa il male di un intero popolo. E smetterla di far finta che esistano scorciatoie per conseguire una Marghera bonificata e ripristinata a vita normale e produttiva. Per quel grande obiettivo serve un insieme di condizioni che oggi non esiste per il semplice fatto che non sono, ancora, state create e che non sarà certo un immane Brontosauro a portarci.