Avrebbe potuto succedere in un qualsiasi altro bar della nostra città in terraferma.
Perché di sera, quasi tutti i bar ed i punti di ritrovo del centro e della periferia di questa nostra città in terraferma hanno molto in comune. La crisi li ha svuotati, perché anche i nostri vecchi, i nostri concittadini che vivono in solitudine, i nostri “barfly” fanno fatica a cercarvi scampoli di socialità. Spesso gli unici avventori – specie in certi orari quando il sole è calato – sono soltanto “bande” di cittadini stranieri (sia comunitari che extracomunitari) che, laddove trovano il vuoto lasciato dalla comunità, vanno a riempire tale vuoto con attività e fermento palesemente fuori controllo, nonostante le ronde ed i controlli delle forze dell’ordine siano cadenzati con sempre maggior frequenza. Ma proprio il fatto che le condizioni siano simili dimostra evidentemente che queste”bande” possono spostarsi e rimodularsi, possono rigenerarsi e stanziarsi anche laddove - paradossalmente – almeno di giorno esiste un’elevata socialità, addirittura un mercato, probabilmente il più vissuto della terraferma, perché a Marghera, per la sua organicità e per il fatto che il mercato c’è anche di sabato mattina, è innegabile che passino decine di migliaia di persone ogni settimana, anche quando non c’è Beppe Grillo.
La modalità con cui questo cittadino macedone ha trovato la morte – mentre un altro sta combattendo per la vita - in una domenica sera in piazza Mercato a Marghera rientra nei cosiddetti “regolamenti di conti”, definizione astratta e falsamente rassicurante per i “normali” cittadini perché lascerebbe intendere che, finché si ammazzano fra di loro, gli altri possono starsene tranquilli. Niente può risultare più deviante di una simile definizione.
In realtà, in questa fredda domenica sera di marzo, dopo questa tragedia parlando con gli amici, rigorosamente “asserragliati” in casa, scrutando i social network, si percepiscono paura e sgomento e ci si sente deboli ed annichiliti. Per quanto episodi di cronaca avessero riempito servizi televisivi e pagine di giornali con accoltellamenti, sequestri di droga, casi di violenza casalinga, e altro, a Marghera ci si è sempre ostinati a considerarsi spettatori di una realtà che riguardava gli altri, come se non fosse possibile che tali episodi si ripercuotessero sulla collettività, sulla vita di tutti noi, sulla quotidianità.
Beh, stavolta quel limite che sembrava invalicabile è stato oltrepassato. Perché ognuno di noi ha pensato che si è sparato laddove un bambino poteva andarsi a prendere un gelato, laddove un paio di ore prima - all’imbrunire- delle mamme erano passate con il passeggino, dove di giorno molti dei nostri “diversamente giovani” sono passati a bere un’ombra, dove, a 30 metri di distanza, c’è l’ingresso dell’asilo, a 70 metri il Municipio di Marghera…
E’ inevitabile sentirsi fragili, ed è umano provare paura. Probabilmente, e non per assuefazione, questa volta non riusciremo a provare rabbia perché qualche media parlerà di Bronx.
Ma di sicuro, questa volta non ci si potrà più voltare dall’altra parte e pensare che non ci riguarda. Questa volta, per quanto duro possa essere, avremo il dovere di tornare a vivere e a frequentare il nostro territorio. Avremo il dovere di non cedere alla barbarie. Tutti insieme.