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Partito Democratico - Il punto di vista di Roberto Turetta

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La prima volta che ho avuto a che fare con Valter Vanni negli anni ’80 fu a causa di una video intervista commissionata dai compagni della Festa de l’Unità di Catene.
All’epoca, Valter era il segretario provinciale del PCI e il video sarebbe stato proiettato in loop sullo schermo dello stand giovani. Al termine dell’intervista, gli chiesi se avesse voluto aggiungere qualcosa, se aveva un messaggio da mandare ai compagni che lavoravano; lui fece lo sguardo ancora più cupo e, con il suo tono greve sussurrò: “magari se ce la fate ad usare qualche trucco per farmi risultare un po’ meno orso, non sarebbe male…” e accennò ad un sorriso.
Valter era così, estremamente serio, conscio della sua personalità, ma disposto con discrezione a fare dell’autoironia.
Negli anni mi ha sempre colpito il suo rispetto nel dare ascolto a tutti. Che tu fossi un dirigente di partito o un amministratore, che tu fossi un semplice militante o un qualsiasi interlocutore, magari anche appena conosciuto, lui ti ascoltava.
Quando ha smesso di essere segretario provinciale e ha proseguito il suo percorso da dirigente di partito, il suo intervento in comitato federale (e poi nelle direzioni dei DS e del PD) era il più atteso; rappresentava lo spartiacque fra gli interventi interlocutori e quelli seri, quelli veri che lasciano il segno. Valter Vanni non sprecava parole da politicante, lui metteva a fuoco l’analisi e poi tirava i suoi colpi con una capacità di colpire e far male a volte, che era unica.
Ma il suo rispetto per l’istituzione democratica, e soprattutto per il partito, abbatteva ogni possibilità di scambiare la sua ruvida concretezza per scorrettezza. Valter amava il partito, vedeva in esso la vera opportunità e l’unica sede dove era corretto dibattere, analizzare e condividere le cose. Perché è vero, come han detto altri, Valter era un guerriero, magari all’occorrenza spietato, talvolta volitivo, ma sempre entusiasta, corretto ed onesto. Fino all’ultimo – anche con il PD –, quando c’erano le elezioni e tanti ormai andavano ad assistere allo spoglio nelle sedi comunali, Vanni perseverava nell’attendere in Federazione (ora nel Pd si chiama Coordinamento Provinciale): perché nel suo DNA Botteghe Oscure era più affidabile del Viminale e le telefonate dei compagni impegnati nei seggi valevano di più del dato dell’ufficio elettorale del Comune.
Potrà sembrare riduttivo, anche perché Valter è stato un bravo amministratore ed un innovativo Presidente di aziende (il tram è nato sotto la “sua” presidenza di ACTV) ma, per me, Valter resterà sempre la figura che ha incarnato lo spirito di appartenenza e la passione per la politica vissuta nel partito.
Ogni diverbio avuto con lui, ogni boccone amaro ingoiato, magari anche per “merito” suo, ogni stretta di mano, ogni ora piccola fatta in pizzeria dopo una riunione, ogni volta che siamo riusciti a vincere assieme, quelle volte che abbiamo imprecato per avere perso; con Valter ho avuto il grande privilegio di sentire sulla mia pelle che la politica, quella vera, si fa assieme.
Questa è la concezione che mi ha trasmesso. Ed è per questo che mi peserà tantissimo la sua assenza, è per questo che sentirò ancora più necessario ma, non per questo, meno difficile, impegnarmi a fare politica.

A chi ha avuto la fortuna di conoscerlo e di condividere della strada assieme, quest’uomo mancherà tantissimo. Invito chi ha avuto modo di assaporarne solo l’asprezza, a soppesarne il rigore morale: fu l’unico a dimettersi dalla carica, non appena Cacciari vinse contro Casson. A chi non ha avuto il privilegio di conoscerlo, rivolgo un invito a pensare a lui ogni volta che sale in tangenziale. Non serve leggere libri sul passante, ma è bello sapere che l’opera più importante realizzata, assieme all’aeroporto, negli ultimi vent’anni è stata anche merito suo, peraltro riconosciuto anche dalla maggioranza in Regione.

La malattia lo ha segnato, nei primi tempi il guerriero ha combattuto e ha tenuto il campo.
Negli ultimi mesi, alla domanda “Come va?”, rispondeva un sempre più laconico: “Si sopravvive” detto non con il tono di che vuol essere compatito, ma con lo spirito di chi vuole dirti: “Accidenti, farei questo, quello e quell’altro ma non posso, adesso dipendo da una flebo, dalla fatica, dal male” e lui soffriva più per questo che per il dolore in sé.

Prima che questo accadesse ricordo ancora con gioia una delle pochissime volte in cui mi diede ragione. Stavamo parlando di una soluzione di transito relativa al tram a Marghera che lui, da presidente ACTV, mi contestava come impossibile e che, invece, alla fine è stata possibile. Quando glielo feci notare, Valter accennò sornione un sorriso e sussurrò:“Beh, ogni tanto ho detto qualche stupidaggine anch’io”.

Chapeau, ti abbraccio compagno Valter.

 
 
Pubblicato il 25-01-2012 ore 17:15
Ultima modifica 25-01-2012 ore 17:40
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