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Federazione della Sinistra Veneta - Interrogazione nr. d'ordine 2265

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nr. d'ordine nr. protocollo data pubbl. proponente assessore competente data protocollo data scadenza tipo risposta
2265 10 13/01/2014 Sebastiano Bonzio
 
Vicesindaco
Sandro Simionato
 
e p. c.
Al Presidente della II Commissione
14/01/2014 13/02/2014 in Commissione

 

 

Venezia, 13 gennaio 2014
nr. ordine 2265
n p.g. 10
 

Al Vicesindaco Sandro Simionato


e per conoscenza

Al Presidente della II Commissione
Alla Segreteria della Commissione consiliare II Commissione
Al Presidente del Consiglio comunale
Al Sindaco
Al Capo di Gabinetto del Sindaco
Ai Capigruppo Consiliari
Al Vicesegretario Vicario

 

Oggetto: VERIFICARE LA LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DEGLI ASSURDI E INGIUSTI TAGLI IMPOSTI DALLO SFORAMENTO DEL PATTO DI STABILITA’

Tipo di risposta richiesta: in Commissione

 

Premesso che
non devono certo essere le lavoratrici ed i lavoratori a pagare le conseguenze delle assurde scelte imposte dal Governo alle amministrazioni locali: non è né equo né giusto che lo sforamento del Patto di Stabilità provochi gravi conseguenze sulle retribuzioni del personale dipendente non dirigente del Comune di Venezia e sulla (non) possibilità di assunzione o rinnovo dei lavoratori precari (a tempo determinato) soprattutto di asili nidi e materne per tutto il 2014, andando a “colpire” i lavoratori dipendenti che, avendo scarsi poteri decisionali, non hanno neanche responsabilità per la gestione dell’Ente;

Considerato che
in data 31/12/2013 il Direttore delle Risorse Umane del Comune di Venezia emanava a tutte le Direzioni la circolare P.G. 564270 ad oggetto “limitazioni del salario accessorio decentrato e dei compensi per la Performance dell’anno 2014 per le conseguenze del mancato rispetto del patto di stabilità dell’anno 2013” che, sostanzialmente, spiega le conseguenze dello sforamento del patto di stabilità per il personale dipendente non dirigente (esclusa cioè la fascia dirigenziale esente dagli effetti delle medesime norme), ai sensi dell’art.40 del D.Lgs 165/2001;

Considerato inoltre che
La sentenza 223/2012 della Corte Costituzionale della Repubblica Italiana, di cui riportiamo di seguito pochi estratti per brevità e puramente a titolo esemplificativo, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di parte dellart. 9 del decreto-legge 78/2010 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica) che andava a ridurre l’indennità speciale di cui godono i Magistrati e contiene dei principi che appaiono di valore e riferimento anche per la situazione contingente in cui si trova il Comune di Venezia;

“…  1.1.— Il rimettente premette che i ricorrenti – tutti magistrati ordinari in servizio presso Uffici giudiziari ricompresi nell’ambito di competenza territoriale del giudice adito – chiedevano al TAR la declaratoria di illegittimità delle decurtazioni del rispettivo trattamento retributivo, derivanti dalla applicazione delle disposizioni finanziarie contenute nel comma 22 dell’art. 9 del d.l. n. 78 del 2010, domandando altresì il consequenziale riconoscimento del diritto al trattamento retributivo, senza tener conto delle riduzioni contestate. I magistrati istanti prospettavano in particolare il vizio di violazione di legge sotto plurimi profili, nonché l’illegittimità costituzionale della normativa primaria. …
… alla luce della citata giurisprudenza e dei citati principi, dovrebbe ritenersi che il trattamento economico dei magistrati debba essere non soltanto «adeguato» alla quantità e qualità del lavoro prestato (ex art. 36 della Costituzione), ma anche «certo e costante, e in generale non soggetto a decurtazioni (tanto più se periodiche o ricorrenti). …

… 1.1.3.— Quanto alla riduzione percentuale dell’indennità integrativa speciale (rectius giudiziaria), il rimettente ritiene, in primo luogo, che, alla luce del contesto normativo, essa si concreterebbe in una prestazione patrimoniale imposta di natura sostanzialmente tributaria e, quindi, come tale assoggettata ai vincoli di cui agli artt. 23 e 53 della Carta costituzionale. Tale misura, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato, avrebbe dovuto gravare su “tutti” i cittadini in ragione della loro capacità contributiva, in virtù del principio di generalità delle imposte, in un sistema informato a criteri di progressività. …
… A giudizio del TAR, il requisito della capacità contributiva, di cui all’art. 53 Cost., inteso quale “valore” diretto ad orientare la discrezionalità del legislatore di fronte ai fenomeni tributari, si sostanzierebbe in quello per cui «a situazioni uguali, corrispondono tributi uguali», sicchè il sacrificio patrimoniale che incida soltanto sulla condizione e sul patrimonio di una determinata categoria di pubblici impiegati, lasciando indenni, a parità di capacità reddituale, altre categorie di lavoratori (“segnatamente autonomi”), risulterebbe arbitrario ed irragionevole, e pertanto in contrasto, non solo con l’art. 53, ma anche con l’art. 3 della Costituzione.
Ancora, a giudizio del rimettente tale “tributo” sarebbe “sostanzialmente regressivo”, in quanto, essendo l’indennità (ex art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27 –Provvidenze per il personale di magistratura) corrisposta in misura uguale ad ogni magistrato, la sua decurtazione finisce in concreto per colpire in misura minore i magistrati con retribuzione complessiva più elevata ed in misura maggiore i magistrati con retribuzione complessiva inferiore, in violazione, del canone di cui al secondo comma dell’art. 53 Cost.
Per altro verso, poi, il rimettente evoca il contrasto con l’art. 36 della Costituzione, in quanto essendo il trattamento economico del magistrato considerato adeguato, solo in quanto integrato dalla indennità in oggetto, la decurtazione di quest’ultima non potrebbe che incidere sulla proporzione tra la retribuzione complessiva del magistrato ed il lavoro giudiziario svolto, determinando una alterazione dei principi di proporzione e adeguatezza degli stipendi. …

… sarebbe evidente l’illegittimità dell’art. 9, comma 22 (ed anche della disposizione riguardante il “contributo di solidarietà” di cui al comma 2), in quanto il legislatore, a parità di capacità contributiva ed in violazione dell’art. 53 della Costituzione, avrebbe deciso di colpire, con misure continuative, solo una particolare e ristretta classe di contribuenti.
Sussisterebbe, dunque, la violazione degli artt. 3, 23 e 53 della Costituzione, in quanto, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato, la misura adottata si concreterebbe in una prestazione patrimoniale imposta di natura sostanzialmente tributaria.
I rimettenti sostengono che sarebbe violato, altresì, l’art. 36 della Costituzione, poichè, essendo il trattamento economico del magistrato considerato adeguato solo in quanto integrato dalla indennità giudiziaria, la decurtazione di quest’ultima determinerebbe un’alterazione dei principi di proporzione e adeguatezza degli stipendi, incidendo solo sull’aspetto quantitativo della retribuzione. …
… Nel consentire allo Stato una riduzione dell’accantonamento, irragionevole perché non collegata con la qualità e quantità del lavoro prestato e perché – a parità di retribuzione – determina un ingiustificato trattamento deteriore dei dipendenti pubblici rispetto a quelli privati, non sottoposti a rivalsa da parte del datore di lavoro, la disposizione impugnata viola per ciò stesso gli articoli 3 e 36 della Costituzione. … “

Considerato ancora che
Nonostante la sentenza sia incentrata su principi di autonomia ed indipendenza della magistratura che, evidentemente, non sono trasferibili tout court alla condizione degli enti locali, è altresì vero che nella stessa si intravedono dei principi e delle situazioni del tutto analoghe a quelle in essere nel nostro caso;

Considerato infine che
Alla luce della sentenza 223/2012 della Corte Costituzionale, in estrema sintesi, si può individuare un doppio discrimine nel caso dei dipendenti comunali di fascia non dirigenziale penalizzati dalle norme sul patto di stabilità:
- la disparità di trattamento previsto per i dipendenti comunali soggetti alla riduzione stipendiale (a causa dello sforamento del patto) rispetto alla generalità dei cittadini;
- il fatto che l’imposizione patrimoniale straordinaria va a colpire solo una categoria di dipendenti pubblici e salva dal taglio i dirigenti (gli unici che hanno responsabilità oggettive nell’amministrazione del bene pubblico).
Insomma oltre al discrimine tra lavoratore pubblico e privato, fatto ancor più grave, se ne crea uno tra gli stessi lavoratori del pubblico impiego.

Per tutto quanto premesso e considerato,
si interroga l’Assessore al Personale per sapere

se non intenda mettere a disposizione delle lavoratrici e dei lavoratori penalizzati dagli effetti perversi del Patto di Stabilità l’Avvocatura Civica e qualsiasi struttura o documento di proprietà dell’Amministrazione che risulti utile per supportare un’azione tesa a verificare la legittimità costituzionale di questa assurda normativa.

 

Sebastiano Bonzio

 
 
Pubblicata il 13-01-2014 ore 18:46
Ultima modifica 13-01-2014 ore 18:46
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