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Interrogazione nr. d'ordine 1621

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nr. d'ordine nr. protocollo data pubbl. proponente assessore competente data protocollo data scadenza tipo risposta
1621 298 24/12/2012 Marco Gavagnin
 
Assessore
Ezio Micelli
28/12/2012 27/01/2013 scritta

 

 

Venezia, 24 dicembre 2012
nr. ordine 1621
n p.g. 298
 

All'Assessore Ezio Micelli


e per conoscenza

Al Presidente del Consiglio comunale
Al Sindaco
Al Capo di Gabinetto del Sindaco
Ai Capigruppo Consiliari
Al Vicesegretario Vicario

 

Oggetto: Applicazione del D.M. n. 1444/1968, in materia di distanze minime tra edifici, nel territorio del Comune di Venezia e NTA della Variante parziale al PRG per la Terraferma

Tipo di risposta richiesta: scritta

 

Premesso che

1. l’art. 9 del D.M. n. 1444 del 02.04.1968, intitolato rubricato “Limiti di distanza tra fabbricati”, afferma specificamente al primo comma che: “Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue: 1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale; 2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di metri 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti; 3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all'altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml. 12”;

2. il Decreto Ministeriale in esame, recante “Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati destinati agli insediamenti residenziali ….. da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti”, ha efficacia di legge dello Stato (1) e il suo articolo 9 si rivolge proprio ai comuni, imponendo dei limiti edilizi nella formazione degli strumenti urbanistici. La suprema Corte di Cassazione ha affermato in proposito che “l’adozione, da parte degli enti locali, di strumenti urbanistici contrastanti con la norma comporta l’obbligo, per il giudice di merito, non solo di disapplicare le disposizioni illegittime, ma manche di applicare direttamente la disposizione dell’art. 9, divenuta, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico in sostituzione della norma illegittima disapplicata” (sentenza 19.11.2004, n. 21899) (2);


3. con la delibera di consiglio comunale n. 5 del 13/14.01.1995 (ass.re all'Urbanistica Roberto d’Agostino) è approvata la variante al PRG per la Terraferma nelle cui norme tecniche c’è una norma che si pone in evidente contrasto con le disposizioni sopra illustrate del D.M. n. 1444/1968. Trattasi dell’art. 18 comma 7 NTA il quale dispone che “qualora sul lotto limitrofo a quello oggetto di un intervento edilizio, esista una costruzione realizzata in data antecedente l’approvazione delle presenti norme, la cui distanza dal confine sia difforme da quella prescritta dalle stesse, il costruendo edificio potrà non rispettare la distanza tra i fabbricati (Df) prevista per la zona in cui ricade, rispettando unicamente la prescritta distanza dai confini (Dc), fatte salve le prescrizioni di legge”;

4. la Regione Veneto, in sede di approvazione con modifiche d’ufficio ex art. 45 dell’allora vigente L.R. n. 61 del 27.06.1985, ha dapprima cancellato la disposizione di cui sopra (delibera G.R. n. 4487 del 16.12.1997) come suggerito dalla Commissione Tecnica Regionale. Successivamente, però, ha revocato la sua precedente decisione (delibera G.R. n. 530 e 531 del 23.02.1998) e ha seguito il parere della Commissione di Salvaguardia che, in modo anomalo, suggeriva di approvare la norma così come scritta dal Comune, disattendendo quanto detto dalla CTR e difendendo, di fatto, una norma contra legem;


considerato che

§ in base alla sopraindicata norma tecnica del PRG sono stati rilasciati dal Comune di Venezia molteplici permessi di costruire a distanze inferiori rispetto a quelle previste dal D.M. (oltre 20.000 concessioni edilizie dal 1968 al 1996, secondo stima dell’allora difensore civico);

§ nel 2001, in particolare, una concessione edilizia del Comune è stata impugnata davanti ai giudici amministrativi di primo e secondo grado i quali hanno giudicato illegittimo (3) tale provvedimento per violazione dell'art. 9 del D.M. n. 1444 del 02.04.1968. Il Consiglio di Stato ha precisato in particolare che “si tratta dell’impugnazione di un provvedimento dell’autorità amministrativa (concessione edilizia) che ha autorizzato una costruzione in deroga alle norme di cui al D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, aventi carattere pubblicistico e inderogabile, in quanto dirette, più che alla tutela di interessi privati, a quella di interessi generali in materia urbanistica, norme che si riferiscono alla distanza fra fabbricati e non alla distanza di questi dal confine”. Insomma il Comune, e i suoi uffici tecnici, hanno fatto una magra figura;


§ successivamente, considerato l’annullamento dell’art. 18 comma 7 NTA da parte dei giudici, il Comune ha deciso di ritoccare la sua strumentazione urbanistica con la nuova “variante al PRG per la riqualificazione degli insediamenti residenziali della terraferma” adottata con deliberazione del C.C. n. 140/2004 e approvata con deliberazione della G.R.V. n. 738/2009 (4). Nelle motivazioni di tale variante si afferma testualmente che “il Comune di Venezia ha ritenuto di dover integrare le disposizioni del vigente PRG per la terraferma con specifiche schede di analisi e progetto finalizzate a disciplinare puntualmente gli interventi possibili, anche in deroga al disposto dell’art. 9 del D.M. n. 1444/1968, così come espressamente previsto dall’art. 23 della L.R. n. 61/1985 (5)” e ciò con l’obiettivo di “favorire la sostituzione edilizia e la conseguente riqualificazione urbana, attraverso interventi in deroga…” e “permettere il pieno utilizzo delle volumetrie previste dal PRG…”.
In pratica si è ammessa la costruzione di edifici con condizioni maggiormente insalubri (meno aria e meno luce) per gli abitanti, con una maggior densificazione dell’abitato mestrino, al fine di non perdere potenziale cubatura: i risultati di tali scelte politiche sono, purtroppo, sotto gli occhi di tutti;

§ tali “schede puntuali” avrebbero, perciò, dovuto definire il perimetro di possibili deroghe a distanze minime tra edifici e altezze massime degli stessi, sostanziandosi in “10 aree problematiche, definite “insule”, ubicate nelle zone di primo sviluppo dell’insediamento mestrino, in prossimità dell’area centrale della città…”. Il condizionale è però d’obbligo perché alcuni titolari di immobili confinanti e preesistenti, rispetto a quelli edificati in base ai predetti permessi di costruire, hanno fatto ricorso al giudice civile per ottenere il rispetto delle distanze garantite dall’anzidetto D.M. (nonché per evitare il sorgere di diritti di servitù per usucapione ventennale ai sensi dell’art. 1158 c.c.) ottenendo decisioni favorevoli sino all’ultimo grado di giudizio, dinnanzi alla suprema Corte di Cassazione. Tali sentenze hanno riconosciuto cioè il diritto al risarcimento del danno nonché il diritto ad ottenere l’arretramento dell’edificio realizzato in violazione della norma sui “10 metri”, a nulla rilevando la previgente norma dell’art. 18 comma 7 NTA (annullata dal 2002) nonché le successive “schede norma” elaborate dal Comune (si allega a tal proposito la recente sentenza di Cassazione, sez. II civile, n. 4079 del 8 febbraio 2012). Anche quest’ultimo espediente non è stato reputato utile dai giudici per derogare al limite dei 10 metri, non potendo considerarsi, a quanto pare, tali schede come un surrogato di quei “piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni plano volumetriche” nel cui solo ambito il comma 2 dell’art. 9 D.M. 1444/1968 ammette una possibile deroga alle distanze minime di legge (6);

§ la problematica qui esaminata ha avuto ripercussioni anche in numerosi altri comuni d’Italia: secondo l'associazione-comitato “10 metri” si sono riscontrati casi a Pistoia, Napoli, Potenza, Benevento, Bergamo e provincia, Milano e provincia e infine, in base ad un sondaggio svolto nel 2000, nel 30% di municipi veneti. Sempre in base alle risultanze dell'associazione un terzo circa delle persone contattate sono giunte a demolizione parziale dell'immobile mentre la parte rimanente ha optato, chi prima chi dopo, per una transazione economica, giudiziale o meno, con il vicino di casa e con tutti i Comuni che fornivano le più grandi rassicurazioni sulla correttezza delle concessioni edilizie rilasciate;


si chiede al Sindaco e all’assessore competente

a) di specificare, numericamente, quanti permessi di costruire sono stati rilasciati o si sono costituiti per D.I.A. in deroga alle distanze di cui al D.M. 1444/1968 sulla base della citata strumentazione urbanistica (specificando i due differenti momenti temporali: vigenza dell’art. 18 comma 7 NTA e applicazione delle “schede puntuali”);

b) di chiarire altresì se il Comune sia mai stato chiamato in causa, anche in manleva, e con che esiti, nell’ambito del contenzioso tra privati causato dall’attività edilizia erroneamente consentita dal predetto strumento urbanistico, tenuto conto che i relativi titoli sono rilasciati dall’amministrazione o si costituiscono con l’esimente “fatti salvi i diritti di terzi”;


c) di chiarire poi, specie alla luce della consolidata giurisprudenza in materia, in base a quale potere/autorità/legge superiore, sconosciuta allo scrivente, sia stato possibile inserire nella strumentazione urbanistica della città una disposizione contraria ad una norma di legge imperativa come quella dell’art. 9 D.M. 1444/1968;

d) di spiegare, alla luce della recente sentenza di Cassazione n. 4079 del 08.02.2012 che riguarda proprio una vicenda tra edifici situati nel territorio di Mestre, se la regolamentazione a mezzo “schede norma”, di cui alla Variante adottata dal Consiglio comunale con delibera n. 140/2004 e approvata con delibera G.R.V. n. 738/2009, consenta alla variante del 1993 di superare definitivamente con assoluta certezza i vincoli di cui al predetto D.M. oppure se, in caso di incertezza, non sia il caso di revocare in autotutela tale disciplina urbanistica, quantomeno al fine di non esporre ulteriormente a pretese risarcitorie i cittadini che intendano ricorrere all’edificazione in deroga dalla medesima disciplina ancor oggi consentita;


e) di illustrare se ed in che modo, a prescindere dalla chiamata in causa del Comune e dalla clausola di esonero da responsabilità contenuta nei titoli abilitanti rilasciati (“fatti salvi i diritti dei terzi”), la Giunta intende farsi carico della complessa situazione, tutelando, anche in via preventiva e con misure di sostegno e mediazione, l’affidamento dei cittadini che, in buona fede, hanno edificato sulla base di una strumentazione urbanistica illegittima per palese contrasto con una normativa di rango superiore;

f) di trasmettere la citata sentenza di Cassazione n. 4079/2012, con dettagliata informativa sulla materia in esame, alla Regione Veneto richiedendo specificamente le ragioni in base alle quali tale ente, competente per legge all’approvazione degli strumenti urbanistici degli enti locali subordinati, abbia approvato in un primo momento la norma di cui all'art. 18 comma 7 delle NTA e in secondo luogo lo strumento nuovo delle “schede puntuali” considerata la loro illegittimità per violazione di norma imperativa dell'ordinamento quale è l'articolo 9 del D.M. 1444/1968. E ciò anche alla luce delle possibili rimostranze e richieste di risarcimento che i cittadini potrebbero sollevare nei confronti del Comune di Venezia per le concessioni edilizie rilasciate;


g) di comunicare istituzionalmente all’Ordine degli Architetti e al Collegio dei Geometri della Provincia di Venezia il fatto nuovo di cui alla recente sentenza della Cassazione e le eventuali disposizioni conseguenti adottate dall’amministrazione in materia;

h) di avviare un procedimento tendente ad accertare eventuali responsabilità in capo a dirigenti o amministratori pubblici per le scelte di cui sopra, all'apparenza, piuttosto erronee nonché di segnalare con apposita comunicazione la vicenda alla Corte dei Conti per gli eventuali danni erariali che potrebbe ingenerare in capo a Comune e Regione.


Con riserva di presentare successiva mozione ai sensi dell’art. 8, comma 5, del Regolamento del Consiglio comunale.


) La forza di legge discende dal fatto che esso è stato emanato su delega dell’art. 41 quinquies della Legge 1150/1942 (cd. Legge Urbanistica), aggiunto alla medesima dall’art. 17 della Legge 765/1967 (cd. Legge Ponte). Tale articolo ha carattere precettivo e inderogabile nella parte in cui dispone che in tutti i comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati limiti inderogabili di distanza tra fabbricati definiti per zone territoriali omogenee con decreto del Ministero dei LL.PP.
2) La giurisprudenza sul punto è concorde già da molti anni, si possono infatti ricordare infatti: la sentenze di Cassazione, sez. lavoro, n. 3213 del 27.05.1982, la n. 3771 del 15.03.2001, la n. 3624 del 13.04.1999 e la n. 5889, a sezioni unite, del 01.07.1997.

3) Trattasi delle sentenze 30.07.2001, n. 2291 del TAR del Veneto e la 12.07.2002, n. 3931 del Consiglio di Stato.
4) Progettisti della variante sono gli architetti V. Bassato, O. Girotto e G. Rudatis: questi ultimi sono rispettivamente l’attuale e il precedente dirigente capo del settore Urbanistica del Comune di Venezia.
5) Tale norma regionale dispone che: “Le distanze minime tra fabbricati sono quelle di cui all’art. 9 del D.M. LL.PP. 2 aprile 1968, n. 1444. Sono fatte salve maggiori distanze prescritte per le zone sismiche.

Il piano regolatore generale può, altresì, definire minori distanze rispetto a quelle previste dall'articolo 9 del decreto del Ministro per i lavori pubblici n. 1444 del 1968: a) nei casi di gruppi di edifici che formino oggetto di piani urbanistici attuativi planivolumetrici;
b) nei casi di interventi disciplinati puntualmente; c) nelle zone territoriali omogenee B e C1 qualora, fermo restando per le nuove costruzioni il rispetto delle distanze dal confine previste dal piano regolatore generale che comunque non possono essere inferiori a cinque metri, gli edifici esistenti antistanti a quelli da costruire siano stati realizzati legittimamente ad una distanza dal confine inferiore”.
Da notare che la lettera c) è stata dichiarata illegittima dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 232/2005.
6) I Piani Particolareggiati sono degli strumenti attuativi del PRG e sono regolati dagli artt. 13-17 della Legge Urbanistica, la n. 1150 del 17.08.1942. Essi sono stati poi richiamati nell’art. 12 della L.R. n. 61/1985 ed art. 19 della nuova L.R. sull’Urbanistica n. 11/2004. Tale strumento urbanistico si contraddistingue rispetto alle schede norma per il fatto che prevede una fase partecipativa nel senso di opposizioni da parte dei proprietari di immobili ricompresi nel comparto come anche di presentazione di osservazioni da parte di chiunque (art. 20 comma 3 L.R. n. 11/2004);

 

Marco Gavagnin

 
 
Pubblicata il 24-12-2012 ore 12:34
Ultima modifica 24-12-2012 ore 12:34
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