l'ultimo accordo ENI sancirà la morte totale dell'area industriale a Porto Marghera, senza un chiaro orizzonte del futuro.
L’accordo tra ENI e sindacati del 10 febbraio è un’altra tappa verso la chiusura di tutte le attività della chimica a Porto Marghera. La chiusura, avviata con determinazione nel 1998 dall’allora amministratore delegato di ENI Mincato, trova ora coronamento nell’azione di Scaroni, che lascerà fra tre mesi l’ENI ma non ha voluto negarsi la soddisfazione di infliggere l’ultimo colpo a una area industriale da lui particolarmente bersagliata, per aprire il campo alla speculazione sui terreni dismessi.
L’accordo prevede da subito la chiusura della Centrale Termoelettrica di stabilimento e la fermata dell’impianto di Cracking per sei mesi: una fermata così lunga non è altro che la prova generale della fermata definitiva. La centralità dell’impianto di Porto Marghera rispetto all’area di Mantova, Ferrara e Ravenna è venuta meno, come sarà dimostrato in questi sei mesi in cui questi stabilimenti saranno alimentati con materie prime da Brindisi e Priolo.
Inoltre la riduzione della capacità produttiva a 300.000 tonnellate/anno di etilene dalle 450.000 dell’attuale assetto, mina la competitività dell’impianto, tenendo conto che in Europa 500.000 tonnellate è la capacità minima per un impianto con caratteristiche simili. A conferma che ENI non preveda un futuro per questo impianto vi è l’assenza di investimenti per nuovi forni di cracking, gli unici in grado di garantire competitività all’impianto. L’installazione di nuovi forni di cracking consentirebbe la fermata degli attuali, troppo piccoli per reggere la competizione.
Come da altre parti, la foglia di fico che coprirà la chiusura del cracking e quindi l’atto finale dello smantellamento della chimica a Porto Marghera, sarà la “chimica verde”: il progetto presentato prevede una lunga fase di sviluppo che dovrebbe portare a un impianto industriale entro la fine del 2017 ! fra ben quattro anni.
Che il progetto sia una foglia di fico si vede da tre elementi:
- La lunga fase di sviluppo, per cui si potranno invocare in qualsiasi momento difficoltà nella ricerca per ritardare e/o fermare il progetto;
- Il fatto che si usi come materia prima l’olio di palma, quando la tendenza a usare come materia prima in questo campo è il ricorso a materie non destinate all’uso alimentare; si capisce inoltre perché ENI non abbia voluto a Marghera il progetto di Mossi & Ghisolfi, che parte da scarti e materie prime non destinate all’alimentazione umana e animale; il confronto diretto del progetto ENI con questo progetto ne avrebbe evidenziato immediatamente la natura strumentale per coprire la chiusura di Porto Marghera;
- La ridotta dimensione dell’impianto al 2017, 100.000 tonnellate anno, quando già ora gli impianti simili hanno capacità dalle 200.000 tonnellate in su.
In conclusione, Scaroni prima di lasciare la guida dell’ENI, non ha voluto lasciare incompiuta l’opera di demolizione dell’industria chimica a Porto Marghera, in modo da preparare il terreno alle future speculazioni sulle aree- così definisce Antonio Cavaliere - l'accordo siglato nella notte.
E a Venezia cosa rimarrà?