Non serve essere dei profondi conoscitori dell’animo umano né dei comportamenti che lo esprimono per comprende che ciò che somiglia ad un’azione solidale a volte si traduce inesorabilmente, anche a dispetto delle migliori intenzioni, in un atteggiamento altrettanto discriminatorio, un filo che lega anziché unire. Martedì sera ho lasciato il Consiglio Comunale alle 18.00 prima di votare una serie di delibere a mio avviso non sufficientemente condivise e studiate in sede di commissione. Un segnale forte ma inevitabile quando il dialogo è negato in primis da chi dispone gli atti che definiscono la vita della Città e che i consiglieri avvallano o meno con il loro voto. Tra le diverse questioni sul tavolo anche la gestione dei fondi destinati alla nascita del servizio lgbt. Come nella più facile delle previsioni, poco dopo aver lasciato l’aula è iniziato un dibattito che sottolineava l’accaduto e dava luogo tra urla e bisbigli a quanto poi riportato nelle diverse testate giornalistiche: “Camilla Seibezzi lascia l’aula per protestare sul dirottamento dei fondi lgbt”. Un’interpretazione univoca e restrittiva, uno stigma che abbraccia il più facile degli stereotipi. Vivo con la mia compagna da più di dieci anni ed abbiamo una figlia di tre anni che frequenta felicemente una delle nostre scuole materne. Lavoro come cultural manager e sono cresciuta in una famiglia cattolica di cui vanto i natali. Ho visto mio padre andarsene come un treno a vapore, un colpo di tosse dietro l’altro fino al sibilo che arresta il corpo all’ultima fermata. Porto Marghera dall’inizio alla fine della sua vita, quarant’anni tra le fabbriche ed un tumore ai polmoni che lo ha consumato in pochi mesi. Ho mille amici e mi sento la persona più felice del mondo perché ogni giorno tra le calli e oltre ne incontro qualcuno. Una sorpresa da cui spero la vita non mi allontani mai. La passione politica è nata così sull’onda di questi incontri, l’empatia e il desiderio che questa città ci appartenesse nel migliore dei modi. Non lascio il consiglio comunale perché sono lesbica altrimenti dovrei farlo come madre quando non funziona qualcosa nelle scuole, come figlia quando si parla delle politiche industriali e dell’ambiente, come utente ACTV se le corse dei vaporetti e dei bus sono scarse, come libera professionista se le politiche culturali sono inadeguate. Sono in Consiglio Comunale per sostenere in modo irriducibile una maggiore equità sociale, delle politiche del lavoro più accorte, una residenzialità che non ci costringa alla fuga; delle politiche culturali degne del nostro tessuto cittadino, pari dignità e diritti alla comunità lgbt. Tutto ciò a prescindere dall’orientamento affettivo e sessuale dei miei concittadini, dei miei colleghi ed il mio stesso. Con buona pace di tutti coloro che interpretano il mandato politico come un’estensione della propria persona e dei propri interessi. E questo è il primo passo verso l’uguaglianza.
Camilla Seibezzi
Consigliera Comunale “Lista In Comune”