Il Senato della Repubblica sta in questi giorni convertendo in Legge il Decreto con cui il ministro Bondi riforma le Fondazioni liriche e sinfoniche in Italia, mortificando il sistema culturale del paese in uno dei suoi tratti originali e più riconosciuti, quello del melodramma e della lirica.
Pericolosa e paradossale è l’opera del Ministro, che si affida alla forma del Decreto (che quindi dovrebbe avere motivi di urgenza) salvo poi precisare, all’articolo 1°, il rinvio della disciplina di dettaglio ad un successivo regolamento emanato dal Ministero che vedrà la luce solo tra qualche mese.
Non stupisca l’apparente contraddizione, giacché in questo modo il Ministro sottrae al Parlamento la possibilità di predisporre una riforma di sistema sul tema, e riconduce alla discrezionalità del Ministro le scelte sulle singole fondazioni.
Infatti, filo conduttore del Decreto è la riduzione in cattività delle Fondazioni liriche e sinfoniche, che anziché giovarsi di un quadro normativo e di finanziamenti omogeneo, nei fatti dovranno avviare trattative privatistiche con il Ministro di turno, e saranno sempre più esposte al pericolo della loro politicizzazione.
Tutto ciò mentre prosegue lo svuotamento del Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS), che finanzia ogni anno la produzione dal vivo e rappresenta lo strumento per eccellenza per l’impresa culturale in Italia.
Il FUS, che nell’ultimo anno del Governo Prodi aveva avuto una dotazione di 550 milioni di € è stato ridotto nel 2010 a 400, e nel 2011 sarà finanziato per appena 350 milioni, nei fatti pregiudicando l’operatività delle Fondazioni, delle Compagnie stabili, delle Orchestre sinfoniche, che dipenderanno appunto dalle scelte discrezionali del Ministro.
Questo quadro è peggiorato dal pregiudizio che Ministri come Bondi e Brunetta hanno verso quelle professionalità cresciute nei nostri teatri, a partire dalla Fenice di Venezia, fino a dileggiare come “fannulloni” quel corpo artistico composto da professori d’orchestra, solisti, virtuosi che costituisce un’eccellenza italiana e che gode di un trattamento economico tra i più bassi in Europa.
Il nostro paese ha bisogno di una riforma organica e di sistema di tutto il comparto culturale, che però non può avere a fondamento nulla di più della consapevolezza che esso rappresenta una straordinaria opportunità di crescita sociale ed economica, soprattutto se posto in relazione con le filiere del turismo nelle grandi città d’arte come Venezia.
E quindi occorre andare controcorrente, dando al FUS maggiori risorse e stabilità, prevedendo misure di defiscalizzazione per i soggetti privati che investono nelle Fondazioni e nelle produzioni, come avviene in tanta parte del mondo occidentale.
Quello dell’Italia è un caso singolare, con pochi epigoni: il nostro paese si riconobbe nazione prima di costituirsi come Stato. Possiamo ben dire che quella dell’Italia fu un’intuizione dello spirito prima che una costruzione istituzionale, e che a tenere viva questa intuizione (prima che fosse incarnata in precise strutture politiche e statuali) contribuirono in modo determinante la cultura, le lettere, la tradizione lirica e sinfonica.
E forse è proprio questo che a molti degli uomini di governo, oggi in Italia, fa paura.