di Gianfranco Bettin - Beppe Caccia (Verdi del Veneto)
da "Il Manifesto" dell'8 ottobre 2006
Più si precisano i contenuti della Legge Finanziaria proposta dal Governo Prodi, più evidente ne risulta l'insostenibilità. E non si tratta di aspetti marginali, correggibili con aggiustamenti in corso d'opera: in questione è l'impianto complessivo della manovra, "culturale" prima ancora che politico.
Il consenso trasversale, ottenuto da Confindustria al Sindacato, è rivelatore di come le misure previste siano destinate a penalizzare e a scontentare tutti, salvo quelle che potremmo definire come le "grandi corporazioni fordiste". Ma le rappresentanze della grande impresa e del lavoro dipendente tradizionale oggi, in una società che si è negli ultimi trent'anni profondamente trasformata, non possono certo pretendere di incarnare il vero "interesse generale". Chi ha pensato questa Finanziaria ha invece combinato ad una matrice culturale propria della tradizione socialdemocratica, l'eco di improponibili illusioni keynesiane e lo stile centralista e dirigista delle alte burocrazie di Bruxelles, che non a caso sono state in questi anni i peggiori nemici della costruzione di un comune spazio politico e sociale europeo.
"Big work, big business, big parties" sembra essere questa l'unica anacronistica ed infelice idea di sviluppo che anima la manovra economica (altro che "decrescita felice"): basti pensare alle briciole destinate nel bilancio dello Stato al finanziamento dell'Università e della ricerca scientifica, con cui ci si rassegna a condannare il Paese al declino culturale e produttivo e decine di migliaia di giovani ricercatori ad un'intera esistenza precaria. Basti pensare a come, di fronte alle dimensioni raggiunte dalle multiformi emergenze ecologiche, sia del tutto assente una vera svolta delle politiche energetiche verso le fonti pulite e rinnovabili, manchi un corposo programma di misure antinquinamento e ad incentivo di una mobilità sostenibile, e risultino del tutto inadeguati i primi stanziamenti per intervenire a tutela dell'assetto idrogeologico del territorio. Eppure le risorse finanziarie per grandi opere dall'impatto devastante e già rifiutate dalle comunità locali, per quanto ridimensionate rispetto al "libro dei sogni" berlusconiano, sono state trovate: dalle nostre parti, ad esempio, a fronte di cinque milioni di euro destinati all'insieme degli interventi di salvaguardia fisica e socioeconomica di Venezia, il Governo ha stanziato quasi cinquecento milioni di euro per la prosecuzione dei cantieri del Mo.S.E., negando implicitamente la volontà di discutere e verificare le alternative a questo disastroso baraccone.
Ma due ulteriori aspetti della Finanziaria risultano decisivi. Innanzitutto l'attacco pesantissimo portato ai Comuni. E qui non si tratta solo di consistenti risorse economiche che vengono a mancare per quei livelli di governo che oggi assicurano ai cittadini oltre il settanta per cento delle prestazioni di welfare, ovvero la maggior parte della già insufficiente rete di protezione sociale. In discussione è, soprattutto, il principio di un'articolazione federalista tra differenti livelli di governo, in particolare gli spazi effettivi di autonomia e di autogoverno della dimensione locale e municipale, quella in cui sono state sperimentate politiche ambientali e sociali, culturali e partecipative, innovative ed alternative.
In secondo luogo, se guardiamo agli aspetti fiscali e previdenziali della manovra, a risultare gravemente penalizzate dai meccanismi di redistribuzione dei redditi previsti (senza nasconderci il fatto che al lavoro tradizionale, dipendente e a tempo indeterminato, arrivano benefici poco più che simbolici), sono tutte le nuove figure sociali emerse in questi anni dalla grande metamorfosi produttiva che ha investito l'organizzazione sociale del lavoro: quelle del lavoro intermittente e precario, quelle del lavoro autonomo e delle nuove professioni, quelle della microimpresa innovativa o contoterzista che sia. Per queste figure la pressione fiscale e contributiva viene addirittura appesantita, senza che sia prevista alcuna contropartita in termini di nuovi istituti di welfare, di riprogettazione di una rete di tutela e protezione sociale adeguata ai tempi.
Dovrebbe essere facile immaginare come il peso di questo impianto della manovra si avverta con maggiore sensibilità in quelle aree del Paese dove più profondi sono stati i processi di trasformazione produttiva e sociale, come ad esempio in quella originale "metropoli diffusa veneta" in cui si sviluppa la nostra iniziativa politica. Siamo però convinti che i tratti salienti di questa Finanziaria colpiscano più in generale alcuni tra gli impegni programmatici che sostanziavano la coalizione di Centrosinistra: l'ispirazione federalista e il ruolo da assegnare alla dimensione dell'autogoverno locale, la necessità di una vera svolta nel campo delle politiche ambientali, la messa in discussione della logica delle "grandi opere" e delle procedure autoritarie e centralistiche previste dalla Legge Obiettivo, la centralità di un nuovo Welfare fondato sul riconoscimento di nuovi diritti adeguati alle forme contemporanee del lavoro e della cittadinanza. Su tutti questi nodi la discussione deve riaprirsi, subito, perché così com'è questa Finanziaria è proprio inaccettabile.