VENEZIA 2020: UN’OCCASIONE PER CAMBIARE DAVVERO
Beppe Caccia
Bene hanno fatto alcune personalità a lanciare – nel coro di consenso, quasi sempre acritico, alla candidatura di Venezia per le Olimpiadi estive del 2020 – un grido di allarme, ad avvertire del rischio che all’appuntamento sportivo si accompagnino “progetti devastanti” e una “colata di cemento”. Il loro non può che essere uno stimolo ad approfondire la discussione intorno alla proposta, evitando di affrontarla con banalità, o peggio rispondendo a riflessi condizionati.
Ad ogni riflesso condizionato: sia quello del consenso privo di condizioni di chi è abbagliato dal dorato luccichio di un grande business in arrivo; sia quello di chi, archiviato fortunatamente con successo vent’anni fa il No-Expo, rimossa senza la necessaria riflessione la sconfitta del No-Mose, è forse alla ricerca di un No-qualcosa da agitare.
Voglio essere da subito chiarissimo: la proposta di una battaglia aprioristicamente “No-Olimpiadi” non mi convince proprio per niente. E sbaglierebbe di grosso chi pensasse che la storia si ripeta sempre eguale a se stessa, che questo tema abbia la stessa valenza del No-Expo, che intorno al rifiuto dell’evento olimpico possa coagularsi chissà quale idea alternativa di città e, più in generale, di gestione del territorio.
Chi scrive sa bene che cosa si muova, in termini politici, affaristici, mediatici – sul piano della stessa costruzione di immaginario – intorno a grandi eventi sportivi globali come le Olimpiadi e di come spesso, in particolare nei “trent’anni ingloriosi” del trionfante modello economico e sociale neo-liberista, i territori ospitanti siano stati investiti da mega progetti speculativi, sottratti al controllo e privi di ricadute positive per le popolazioni locali.
Ma il contesto in cui dovrà svilupparsi la candidatura di Venezia 2020 è quello segnato irreversibilmente dalla crisi, da una crisi globale che colpisce in modo differente un territorio metropolitano, come il nostro, ancora in mezzo al guado di una transizione indecisa tra ciò che “non è più” e “ciò che non è ancora”. Di questa transizione vogliamo essere solo spettatori, magari urlanti il proprio dissenso rispetto a scelte determinatesi altrove, o protagonisti a pieno titolo?
Ecco perché a chi immagina una campagna “fuori e contro”, propongo invece una battaglia, tutt’altro che facile, “dentro e per” la candidatura di Venezia a Città olimpica 2020: l’arrivo delle Olimpiadi, e gli enormi flussi di risorse economiche che metteranno in moto, possono diventare l’occasione per una grande e positiva trasformazione del nostro territorio, per immaginarne e realizzarne un futuro possibile, definitivamente fuori dal Novecento.
Proviamo a pensare se - per titoli intanto - i tre principali obiettivi, in termini di ricaduta locale dell’evento olimpico, fossero:
uno, il completamento della bonifica e del risanamento delle aree industriali di Porto Marghera e l’utilizzo delle strutture olimpiche ai fini della loro riconversione produttiva sul terreno della Green Economy;
due, un salto nell’innovazione tecnologica che faccia di Venezia la capitale mondiale nel ricorso alle fonti energetiche rinnovabili, al solare in particolare;
tre, dal punto di vista della mobilità in tutta l’area centrale veneta, una decisa svolta di tutta l’infrastrutturazione verso lo spostamento del traffico di persone e merci dalla gomma alla rotaia.
Utopie? Resterebbero tali se oggi pensassimo di affidarne la realizzazione a qualsivoglia livello di governo “pubblico”, ma diventerebbero obiettivi molto più credibili se spinti dalla leva degli investimenti olimpici.
Anche qui, dovrebbero darsi tre condizioni di partenza:
la prima, garantire massima trasparenza e massima partecipazione democratica al processo decisionale della candidatura;
la seconda, pensare finalmente il ruolo di Venezia dentro una dimensione metropolitana più ampia;
la terza, battersi perché i flussi di ricchezza, assicurati dal business olimpico, siano il più possibile ridistribuiti socialmente. Sarebbe una sfida vera, “olimpica” nel significato che davvero ci piace. Certo, proiettando con minor coraggio il film già visto di una protesta minoritaria “No-Olimpiadi” si potrebbe lucrare qualche consenso, ma credo che condanneremmo intelligenze ed energie diffuse in città ad una testimonianza tutta ideologica e marginale, e, in fin dei conti, del tutto incapace di incidere realmente sul governo di questo territorio e sul futuro di questa città.