Leggevo qualche giorno fa un’intervista a Livio Berruti, medaglia d’oro nei 200 metri alle olimpiadi del 1960 a Roma.
Leggere l’opinione di un grande atleta del passato, con la sua vittoria fonte di ispirazione per migliaia di italiani, era un’occasione alla vigilia dei Mondiali di atletica 2009 a Berlino per conoscere un pezzo di storia sportiva italiana e la storia di un uomo di sport che lo rimane anche in età avanzata.
Tra le sue risposte alle domande del giornalista mi ha colpito quella che sembra poi essere un appello al ministro Gelmini, affinché introduca tra le materie da insegnare a scuola anche l’atletica leggera.
Nello stesso giornale, qualche pagina precedente, vi era con enfasi riportata la notizia del dialetto come materia di studio a scuola.
La strategia leghista di lanciare slogan populisti probabilmente in questa estate raggiungerà l’apice e quello dell’insegnamento del dialetto locale a scuola e del suo uso nei programmi televisivi o nella scrittura dei quotidiani rimarrà tra gli slogan più amplificati.
L’appello di Berruti mi ha fatto accostare le due questioni: il nostro Paese è tra i pochi dove non viene insegnata l’educazione allo sport nella scuola primaria, le elementari per intenderci.
In un tempo dove le società sportive promuovono e si promuovono accogliendo i bambini sin dai 4 anni anche nelle discipline più azzardate, dove la scuola è luogo ambito per proporre ogni tipo di attività integrativa, l’educazione allo sport, quella insegnata da professionisti, quella che avvia un percorso di conoscenza dell’attività sportiva, quella che dal gioco porta alla disciplina, quella che orienta valutando le peculiarità e le propensioni del singolo individuo, quell’educazione nella scuola primaria non esiste.
E’ lasciata al volontariato, che sia esso del corpo insegnante o di società sportive in collaborazione con gli enti locali, e non è materia d’insegnamento.
Certamente Berruti non avrà avuto l’atletica come materia di insegnamento e a 21 anni si è trovato sul podio più alto delle Olimpiadi non certo per meriti scolastici, ma sono passati 49 anni dalla sua impresa ed è sotto gli occhi di tutti quanto lo sport in Italia non sia considerato ancora patrimonio culturale.
Se qualcuno considera il dialetto nelle scuole una priorità perché patrimonio culturale allora credo sia un dovere sottolineare che l’educazione allo sport deve venire prima, deve essere una materia da insegnare da subito ai nostri ragazzi, con pari opportunità, scoprendo quanto i valori dello sport, nel sano confronto con se stessi e con gli altri, facilitino lo stare insieme; esattamente il contrario della visione campanilistica del dialetto, importante ma non certo da insegnare a scuola.
Ma probabilmente qualcuno confonde ancora il tifoso con lo sportivo, e questo è appunto il risultato: in dialetto sappiamo dire più improperi.
Se come veneti vogliamo progredire, vogliamo sottolineare che dal mare ai monti di questa regione vivono cittadini sportivi, che sanno mantenersi in forma, che sanno apprezzare le fatiche e i meriti di tutti, che sanno incitarsi anche in dialetto, allora educhiamo allo sport i nostri bambini e determiniamo che lo sport è patrimonio culturale del Paese, facciamo questo grande e serio investimento e introduciamolo come materia obbligatoria nella formazione scolastica sin dalla scuola primaria.
Grazie Berruti, speriamo che il ministro Gelmini la ascolti.
Claudio Borghello
Consigliere comunale