Ricordo quando, prima degli anni novanta, si identificava la struttura urbana del Comune di Venezia come: “città satellitare”. Una città, la cui forma urbis poteva assomigliare ad un sistema di pianeti, sviluppati in terraferma e gravitanti attorno al sole: il centro storico di Venezia.
Immagine suggestiva e perfettamente calata nella realtà urbanistica del tempo e che tutt’ora rappresenta chiaramente un sistema di relazione da superare. Negli anni novanta, dopo appassionanti ed approfondite discussioni, si arrivò a sintetizzare che l’obiettivo della pianificazione urbanistica sarebbe stato “la città bipolare”. Questa immagine rappresenta un concetto pregnante che si fonda sulla volontà politica di unire la città insulare a quella di terraferma, puntando sullo sviluppo di una polifunzionalità economica non più legato solo al turismo od ancorato alla grande industria, ormai decadente ed obsoleta.
Lo studio urbanistico collegato individua nell’asse che va da piazzale Roma alla stazione di Mestre, oltre il ponte della Libertà, l’area attorno cui sviluppare la city: un centro moderno, composto da insediamenti direzionali, funzionali al settore del terziario avanzato e della ricerca. Questi insediamenti, oltre a sorgere in un ambiente paesaggistico e naturalistico suggestivo e difficilmente ripetibile, avrebbero sostituito le aree produttive e di grande distribuzione commerciale che attualmente contribuiscono al degrado di quella zona, tra il canale nord a Marghera ed il canal Salso a Mestre, comprendente l’area del Vega e quella che si sviluppa attorno a via Torino.
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La “città bipolare” organizza Il proprio centro , concentrando, in un luogo ameno e ben servito dai mezzi pubblici, le funzioni più pregiate. Prevede il trasferimento, in periferia, delle attuali funzioni, che generano traffico pesante, inquinamento e degrado.
L’auspicio, che il confronto con il vicino centro storico di Venezia avrebbe contribuito alla qualità degli interventi di riconversione, spinse ad immaginare la formazione di uno straordinario contesto architettonico, urbanistico e paesaggistico: una città a due poli, uno antico e l’altro moderno, che si sarebbe affacciata sulla laguna come elemento di unione.
Lo sviluppo dei terminal turistici e di interscambio modale di Fusina e Tessera avrebbe fermato ai margini della città il traffico turistico e delle merci, attirato e generato dalla città storica e che oggi attraversa la città in terraferma e finalmente reso possibile l’utilizzo di piazzale Roma e delle altre aree limitrofe, per scopi accessori alla residenzialità, dando risposta alle sacrosante esigenze dei residenti nel centro storico.
La “città bipolare” è il risultato di anni di confronti, dibattiti e discussioni ed è il primo passo per lo sviluppo della città metropolitana che verosimilmente sorgerà sulla spina dorsale del SFMR.
La città diffusa, arcipelago o circolare, che viene indicata da alcuni movimenti di recente formazione, non è il risultato di un dibattito approfondito ed allargato, ma, se ci pensate bene, un’ intuizione contenuta e superata dalla città bipolare. L’importante è capire che la gronda lagunare attorno a S. Giuliano, non è periferia e che il centro di una città non può essere attraversato da flussi di traffico generato da attività produttive o di grande distribuzione merci. Se veramente vogliamo una città unita, trasferiamo le attività che oggi gravitano su piazzale Roma e sull’asse S. Giuliano, Via delle Industrie e Canal Salso, in periferia ed intercettiamo i flussi dei turisti e delle merci, destinati nel centro storico della città antica, a Fusina e Tessera. Solo così potremo formare una città ben strutturata.
La logistica delle funzioni è basilare e dovrebbe essere il filo conduttore delle nostre future scelte urbanistiche. Le attività produttive sul Canal Salso, il mercato ortofrutticolo, il sito destinato alla fiera, e tutto ciò che induce mobilità e traffico pesante, vanno collocate ai margini della città, in luoghi attrezzati per l’interscambio modale con la città storica e senza creare congestione nel centro della città moderna. È per questo che lo sviluppo del quadrante di Tessera e della zona di Fusina deve essere ben valutato.
Mi chiedo se c’è veramente coscienza dell’importanza della posta in gioco e delle effettive potenzialità di una operazione, certamente più complessa, ma infinitamente più appagante di quella che si sta mettendo in atto a Tessera.
Abbiamo i mezzi e i terreni di proprietà pubblica per trasferire attività oggi insediate in centro su terreni, che, se liberati, avrebbero un valore ben superiore a quello di Tessera, e, contemporaneamente abbiamo la possibilità di sviluppare una bellissima città sul Canal Salso, su via Torino e attorno al Vega.
Non lasciamoci sfuggire questa occasione.
Ing. Valerio Lastrucci
I.d.V.