Da alcuni giorni, con la scusa che sta scadendo il mandato dell’attuale Direttore De Fusco, si è improvvisamente scoperto che bisogna correggere il tiro sul Teatro Stabile del Veneto. E ovviamente, come spesso accade dalle nostre parti, si inizia a dare il benservito a chi finisce e ad aprire il totonomine su chi deve arrivare… Sigh!
Innanzitutto è un fatto curioso che questa esternazione avvenga alla vigilia di un Consiglio di Amministrazione convocato per lunedì 20 luglio e che il resto dell’assemblea dei soci del Teatro Stabile faccia affrontare questo appuntamento ai propri rappresentanti come se si trattasse di ordinaria amministrazione. Che ci fosse un mandato di Direzione in scadenza lo sapevano tutti. Che non ci sia stato alcun confronto o dibattito sul progetto culturale e “aziendale” che si vuole dare allo Stabile dal 2010 in poi penso sia evidente a tutti. Così come tutti i rappresentanti in seno all’assemblea dei soci sanno che le regole (cioè lo Statuto) del Teatro Stabile sono state cambiate il mese scorso proprio dall’assemblea dei soci e che per il futuro ci sarà un potere direzionale più spinto in carico al Presidente ed un ruolo di Direzione -preminentemente artistica- in carico al Direttore. Penso venga naturale, accostando queste constatazioni, pensare che nelle segrete stanze dell’Assemblea dei Soci si stia consumando l’elaborazione di scelte tattiche e strategiche per i destini di qualche persona, ma difficilmente comprensibili e leggibili come la svolta di una condivisa e partecipata (intendo dal territorio e dalle istituzioni che avrebbero voci in capitolo) politica culturale e aziendale del prossimo mandato di questa Fondazione. Se a questo inquietante pensiero (al quale troppo spesso ci siamo abituati se non forse assuefatti) aggiungiamo che in questi giorni le scelte del Governo col taglio del FUS stanno sostanzialmente minando dalle fondamenta la sopravvivenza di questo realtà (e di centinaia di altre) sarebbe quantomeno utile che la presa di coscienza di quel che sta succedendo divenga veramente patrimonio di tutti, perché altrimenti il rischio del disimpegno e dello sbracamento, sarebbe, per usare un eufemismo, dietro la porta.
Nel momento in cui il mondo del teatro subisce un colpo che, se non vogliamo definirlo mortale, dobbiamo almeno considerarlo fisiologicamente destabilizzante, si riduce la questione del futuro del Teatro Stabile del Veneto ad una lotteria di nomi. Nomi che vanno, nomi che verranno o che saranno bruciati perché messi magari impropriamente sul piatto, nomi che restano e che magari vorrebbero (chissà mai?) cambiare ruolo o incarico… Forse ci vorrebbe un po’ più di pazienza: ma non solo per riflettere che dietro ogni nome che appare c’è una storia, una professionalità e una dignità che magari andrebbero soppesate con il necessario rispetto, quanto piuttosto per il fatto che, oltre a rispondere ad una prerogativa di carattere culturale e spettacolare, il Teatro Stabile è anche una azienda con un mondo lavorativo che andrebbe salvaguardato, rilanciato e rimotivato. Di solito, i paesi sani, anche nei momenti difficili, rilanciano ed investono sulla cultura: e lo fanno con risorse e con un progetto. Possibilmente, poi, sempre nei paesi sani, si fa in modo che questi processi culturali abbiano una condivisione ed un valore aggiunto che parta anche dal territorio e dal pubblico che senta un po’ “anche sue” le scelte che vengono fatte.
Ora non si pretende che il progetto culturale che dovrebbe stare innanzi alla scelta del nome che meglio lo interpreti risolva tutti i mali della mala gestione della cultura d’Italia e, nel caso specifico del Veneto: ma per i miseri mortali sarebbe già qualcosa capire che, oltre a “sistemare” qualcuno, si vada a fare qualcosa di veramente utile e che faccia bene alla formazione, alle produzioni ed alle proposte spettacolari che dovrebbero stare alla base delle motivazioni per cui la Fondazione Teatro Stabile del Veneto sarebbe stata istituita.
Il mio appello, ai soci dello stabile e ai rappresentanti del Consiglio di Amministrazione, è quello di evitare una soluzione abborracciata che permetta di “svangarcela” (vocabolo in voga in queste settimane nel lessico cacciariano) e aspettare che “a da passà ‘a nuttata”. Anche perché senza la sostanza di un progetto e delle risorse certe cui far riferimento non si svangherebbe alcunché. Pensate poi che disastro sarebbe se qualche ente locale, non sufficientemente coinvolto nelle scelte, cominciasse ad emulare il Governo e ritenere superflue e, quindi, tagliabili, le spese per contribuire alle attività dei Teatri?!
E quando parlo degli Enti Locali non mi riferisco alle figure apicali ma a tutti quegli amministratori che da troppo tempo - prendendo atto di ingenti risorse che vengono drenate dai bilanci delle loro amministrazioni senza l’adeguato corrispettivo formativo e culturale che dovrebbe essere stornato al Veneto- fanno da utili idioti di fronte ai giochi di potere di pochi…
Concludo riprendendo un ragionamento fatto da Miracco a Vicenza qualche settimana fa alle giornate dello spettacolo dell’Agis di fronte ad una platea di operatori basiti: nel Veneto manca un progetto culturale. Sono pienamente d’accordo: ci sono tanti ottimi solisti , ma se la Regione del Veneto affida ancora la gestione della cultura alla legge n. 52 del 1984 e agli articoli delle finanziarie annuali e agli accordi di programma con le amministrazioni locali amiche nel silenzio anche dell’opposizione, vuol dire che ha abdicato ad una regia e ad un impegno programmatorio. I tempi impongono che il vuoto progettuale e di coordinamento di questi anni sia rapidamente colmato con un nuova stagione culturale che superi non solo le barriere ideologiche, ma anche qualche tacito pataracchio che potrebbe condurre al gattopardismo.
Roberto Turetta
Presidente VI Commissione Cultura e Turismo
Consiglio Comunale di Venezia